domenica, dicembre 21, 2008

NATALE


Più di una volta e soprattutto dopo un brevissimo passaggio in un quartiere popolare di Kinshasa, la capitale, ho avuto come l'impressione che la pelle dell'uomo e della donna congolese non valga nulla e possa essere impunemente calpestata; più di una volta ho avuto l'impressione che l'energia del suo corpo possa essere succhiata, senza vergogna, allo stesso modo di come sono sfruttate le immense ricchezze della sua terra e delle sue foreste. Il nostro "lavoro" a Babonde consiste nell'annunciare, con parole e gesti, con preghiere e "Parola", con lavori e progetti di sviluppo, che Dio guarda con occhi diversi i suoi figli congolesi, anch'essi sono fratelli in umanità con tutti gli altri uomini e donne del mondo, e che anche per loro Dio ha pensato ad una vita dignitosa e serena, libera dalla paura degli spiriti malvagi, libera dalla paura e dalla minaccia degli uomini malvagi, e sono molti. La nazione congolese è spesso agli ultimi posti nei differenti "indici di sviluppo": sanità, scuola, durata della vita, segno di un paese che regredisce, ma non è agli ultimi posti nell'accoglienza del Vangelo. Nonostante mille e mille delusioni, la speranza non manca al popolo congolese, pieno di vitalità, di creatività e di accoglienza. Pieno d'attesa di una salvezza che deve venire. I cristiani tutti insieme, quelli di Babonde e congolesi, quelli italiani e padovani, tutti insieme ci prepariamo ad una salvezza che deve venire; viene da fuori: siamo in attesa di un "nuovo Natale", di un bimbo straordinario di nome Gesù. La sua "ricetta" è semplice ed esigente, tocca il cuore, provoca un sussulto: accogliere e donare, lasciarsi accogliere e ricevere, incontrare senza paure, sempre: in ogni uomo Gesù vede se stesso, il figlio del Padre. La salvezza verrà, se governanti e potenti guarderanno la nazione ed il popolo congolese con occhi diversi, con gli occhi di Gesù. Un buon lavoro di missione sarà, se i missionari sapranno guardare i loro fratelli con gli occhi di Gesù, e stringere le loro mani con le mani di Gesù. La nostra salvezza verrà, se sapremo guardare gli altri - tutti gli altri - con gli occhi di Gesù, vedendo altrettanti "lui stesso"- "noi stessi", figli del Padre.

Allora vi saluto con un augurio: occhi nuovi, cuori nuovi, la nostra liberazione è vicina.

giovedì, dicembre 11, 2008

Articolo 25


10 dicembre Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo
La memoria è importante. Compiuti sessanta anni dal giorno della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, questo grande progetto di umanità, scritto sulla carta e firmato con grande solennità, stenta ad essere scritto nelle coscienze delle persone e nelle politiche dei governanti, mentre rimane praticamente assente dai tavoli di discussione dove si decidono i grandi interessi economici di stati, gruppi finanziari o gruppi industriali. Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: è tutto il bene di cui l’uomo ha diritto, come singolo e come comunità. Attenzione: non tutto il bene che gli possiamo augurare, ma tutto il bene di cui ha diritto. Tra i molti diritti che la Dichiarazione Universale intende affermare con forza, mi sono caduti gli occhi su di un articolo, l’Articolo 25:
Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia. Maternità e infanzia hanno diritto a speciale cura e assistenza.
E’ vero, ciascuno legge la realtà dal suo particolare punto visuale, talvolta è un punto di vista ristretto, ma l’insieme di tanti punti di vista e prospettive probabilmente può meglio descrivere la realtà. Voglio leggere questo diritto da Kinshasa, la capitale della RDC poiché è stata l’ultima tappa del viaggio verso l’Europa, vi vorrei allora scrivere qualcosa di come ho potuto leggere, dal mio punto di vista questo articolo 25.
E’ con gli occhi che sono stato toccato/shoccato dalle strade ed abitazioni, dall’immondizia e dal fango, dalla mancanza di acqua potabile e di elettricità, dalla precarietà della scuola, della sanità e del lavoro… realtà quotidiane di una capitale di quasi 8 milioni di abitanti. Non c’è né bellezza né dignità che si possa vedere e notare con evidenza. Unica eccezione la gioia di vivere di bimbi e giovani, una speranza endemica come la malaria capace di guarire qualunque frustrazione. Quale sarà il “tenore di vita sufficiente” dell’uomo di Kinshasa, quale il benessere sufficiente della sua famiglia? Non mi soffermo a descrivere, ciascuno può immaginare. Certo anche in occidente occorre lottare per il rispetto di questo diritto, ma non c’è proporzione.
Non è più questione di punti di vista o di “fortuna geografica” (il nascere in un posto piuttosto che in un altro), occorre colmare la sproporzione.
E’ questione di governo mondiale, di cui l’ONU, timido ed abbruttito abbozzo, non è stato finora in grado di gestirne il compito, all’altezza delle speranze e delle sfide.
Ieri si diceva “politica” oggi si dice “geo-politica”; è mondialmente che si spartisce la torta energetica; è a livello mondiale che si distribuiscono le armi e si fomentano le guerre; è a livello mondiale che si stringono contratti per l’accaparramento delle materie prime ed è ancora a livello mondiale che si spostano i capitali e le risorse finanziarie.
I bimbi nelle strade di Kinshasa non possono sapere tutto questo, non possono sapere della necessità di un buon governo mondiale. La speranza e la gioia a loro non manca, ne hanno diritto. Ma hanno bisogno di molto altro. Se io, se tu, le nostre coscienze, se le nostre associazioni, i nostri partiti e governi, le nostre fedi e movimenti possono qualcosa per i diritti di tutti, perché questi bimbi non si accorgano troppo in fretta di quante cose sono state loro negate e saranno loro negate…
10 dicembre Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo. Articolo 25. Ricordare è importante.

martedì, novembre 25, 2008

Foresta e Brulichio


Sono a Kinshasa, la capitale della RDC (Rrepubblica Democratica del Congo), lungo il viaggio di rientro in Italia per il periodo di congedo di tre mesi dopo i quasi tre anni di Congo. Un viaggio dettato anche dalla necessità di rinnovare il passaporto in scadenza. Un’ora di volo per superare i quasi 2000 km di foresta che stanno tra Kisangani e Kinshasa. Il cielo è terso sotto di noi, si possono distinguere i corsi d’acqua e qualche rara, timida strada. Ai fianchi della strada le solite poche capanne. Per il resto è foresta e foresta, la seconda più grande al mondo dopo quella amazzonica del Brasile.
In prossimità di Kinshasa il paesaggio varia un po’ e la foresta si mischia con una piana senza alberi ai bordi del fiume Congo, il quale dopo aver attraversato tutto il paese ed aver ricevuto affluenti di ogni sorta, è diventato enorme. La sua portata d’acqua è la più grande al mondo e dalle sue acque si potrebbe ricavare corrente elettrica per tutta l’Africa ed esportarne fino in Europa… progetti in corso, in attesa di finanzimenti e di controvalore locale, ossia contratti di sfruttamento di minerali. Sbarchiamo all’aereoporto internazionale di N’Djili. Il terreno alluvionale sul quale è costruita la pista fa si che, tutto attorno, la sabbia domini il paesaggio. Recupero bagagli e viaggio fino alla nostra comunità di Lemba, distante una decina di chilometri su di un lungo rettilineo asfaltato. E’ qui che la foresta cambia radicalmente volto per lasciare il posto al Brulichio, un brulichio incredibile di persone – alcune dei 9 milioni di abitanti della capitale, un quinto degli abitanti di tutto il paese. Brulichio di vetture e degli intramontabili pulmini Volkswagen a nove posti, scassati e stracarichi di persone nei colori giallo-blu dei mezzi di trasporto pubblici. Brulichio di persone in attività nelle decine di piccoli mercati ai bordi della strada per vendere ed acquistare il necessario per il pasto unico serale. Ed in prossimità della nostra comunità, brulichio ancora di persone tra stradine strette, riempite di buche, in case, dimensioni di quattro per quattro, costruite di blocchi di cemento e lamiere. Le definizioni di baraccopoli o bidonville forse non dovrebbero prevedere delle case in blocchi di cemento e lamiere, ma l’impressione che questi quartieri danno non è molto lontana. Assenza di piano regolatore; quelli che una volta erano cortili sono invasi ora da nuove costruzioni; scolo delle acque a cielo aperto; sacchetti di plastica usati e rifiuti da tutte le parti… Si, devo dire di aver subito un certo shok nel passaggio dalla foresta di Babonde al brulichio di Kinshasa, dagli spazi aperti dei villaggi alla “sardinizzazione” delle troppe persone in spazi sotto il limite della sufficienza. Shok nel passaggio dai paesaggi intatti di questi ultimi tre anni, al cielo grigio di fumi di scarico e di polvere. Shok del brulichio di persone che getta gli individui nell’anonimato, ognuno per la sua strada, dove la povertà diventa miseria perché non c’è persona con cui condividerla.
Imbottigliamenti, intasamenti, ore di strada per raggiungere il lavoro, la scuola, il mercato o un ufficio… è come entrare in un’altra foresta, quella urbana. Al “fitto” degli alberi si sostituiscono tutte altre serie di “fitti” nei quali occorre orientarsi, districarsi e alla fine sopravvivere.
E’ anche Brulichio di chiese: chiese del Risveglio, Evangeliche, Pentecostali, Carismatiche, della Salvezza, del nuovo Apostolo o del nuovo Profeta, del Cristo in Terra, dell’Ultimo Giorno, della Guarigione o del Perdono… in ogni quartiere, in ogni ancolo una chiesa, un gruppo di preghiera…
Sono arrivato venerdì sera ed il sabato mattina, alle sei, messa nella chiesetta della comunità, la parrocchia cattolica è vicina, ne vedo il tetto e la croce a circa duecento metri, eppure sono qui presenti più di una cinquantina di persone, un altoparlante diffonde all’esterno la voce per quelli che non possono entrare o che preferiscono gustare il fresco del mattino. Non c’è fretta, si ascolta la Parola, si canta, si prega, si riceve la comunione…Nella foresta urbana di Kinshasa, in mezzo al brulichio di tante realtà, le persone cercano una luce, ne hanno bisogno, cercano di essere persone, sanno di avere una dignità, sanno che il Cristo e il suo amore si propone a loro.

Scuola d’Agronomia


E’ nel villaggio di Yambenda che stiamo piantando un seme dal quale ci attendiamo molti frutti. In un contesto interamente agricolo potete trovare decine di istituti superiori di pedagogia ma non una scuola di agronomia. E’ chiaro che gli studenti di pedagogia, una volta diventati maestri e professori potevano, all’epoca, sperare in uno stipendio statale, non oggi, quando il governo sovente manca ai suoi doveri fondamentali, tra gli altri quello di pagare i propri funzionari, tra essi gli insegnati. Molti insegnati e professori già oggi lasciano il “nobile lavoro” per rientrare al lavoro dei campi in modo da provvedere meglio alle necessità della famiglia. Ma per questo lavoro, tutto procede come all’antica, sono poche le conoscenze e le innovazioni. Rarissime le persone competenti. Allora ecco la nostra ferma intenzione di promuovere la creazione e lo sviluppo di una scuola (istituto superiore - secondario) di Agronomia. Già da anni p. Gianni incoraggia e sostiene concretamente la preparazione di insegnati qualificati a livello universitario, ed i primi frutti cominciano a vedersi: il prefetto, due insegnati, l’approvazione ufficiale dell’Istituto da parte delle autorità competenti.
Come ovunque, sono i parenti assieme ai loro figli, gli allievi, ed assieme ai professori ed il prefetto, che costruiscono le aule scolastiche; sono i parenti che raccolgono le contribuzioni per dare un piccolo premio agli insegnanti in attesa della meccanizzazione, ossia del riconoscimento di un salario da parte dello stato. E’ una scuola “delocalizzata” rispetto al modesto “centro” di Wamba, Isiro o rispetto al sedicente “centro” di Babonde (nel senso che parlare di Babonde come di un “centro” è in qualche modo inappropriato ed esagerato). A Yambenda abbiamo iniziato i lavori di costruzione in “duro” ossia in materiale durabile di fondazioni, muri di mattone e tetto di lamiera. A Dio piacendo sarà l’Istituto di Agronomia “Mangele”, grazie soprattutto alla generosità di una coppia di giovani sposi di Bologna che ha dirottato i regali di matrimonio dei parenti ed amici a questo scopo. La generosità non è mancata e le necessità saranno moltissime, ma l’importante è cominciare e noi speriamo di averlo fatto con il piede giusto. p.s. Grazie Gabriele e Mariadina.

mercoledì, novembre 05, 2008

Chi comanda la guerra?


Da più di un decennio oramai, è a partire dall’Est del paese che prendono origine instabilità e ribellioni armate. E’ a partire dalle provincie vicine alla nostra del Nord e Sud Kivu, che tutti i “liberatori” si affacciano sulla scena militare e politica portando con sé l’abituale sovrabbondante “prodotto” di vittime innocenti, di profughi, di distruzioni, aggiungendo miseria alla povertà, moltiplicando disperazione alla mancanza di prospettive per l’avvenire.
E’ la storia ed il dramma di questi giorni per decine e centinaia di migliaia di persone: fuga, fame, perdita di ogni bene, malattia, morte. Da anni un piccolo gruppo di ribelli, 1.500/2.000 soldati, tiene in scacco la più grande forza di pace dell’ONU (17.000 uomini dei quali l’80% in queste regioni). Ugualmente tiene in scacco l’esercito regolare di un paese sotto tutela internazionale che funziona in base ad aiuti esterni - quasi mai gratuiti - e ad una esponenziale corruzione interna.
Chi comanda la guerra? Ricco da morire il Congo e l’Est del paese alimenta e sazia l’appetito goloso dei paesi vicini; ricche buste (bustarelle) nutrono il silenzio o una indolente impotenza degli “eletti” al governo; taciti accordi e prezzi da pagare per guerre precedenti chiudono occhi e bocche di influenti diplomatici; progetti “geopolici” strumentalizzano e legano le mani alle agenzie di pace internazionali. E’ così che diamanti, oro, coltano, rame, uranio, legno pregiato e finalmente petrolio insieme a tanto altro ancora, producono la morte dei congolesi e la vita di altri. Quanti nuovi affamati delle risorse del Congo si affacceranno ancora? Sono essi che comandano la guerra e molto spesso non hanno volto anche se il “capo nemico”, il ribelle, si può chiamare per nome (Laurent Kunda, o Kony…), anche se si può far leva sulle differenze tribali e i possibili antagonismi. La guerra è comandata dagli “appetiti”. Un appetito saziato sempre e ad ogni costo, avvelena la vita e alla fine uccide. Saranno capaci gli uomini di educarsi all’astinenza? Ne saranno capaci se attarverso essa conquisteranno un bene più grande: la vita dei fratelli. Lo sapranno riconoscere?

Chiesa di mattoni?


C’era una canzone che andava di moda quando ero ragazzo, ma che oggi credo sia sparita dal repertorio dei “gruppi canto”, il cui ritornello diceva: “Chiesa di mattoni no! Chiesa di persone si!
Bene, a Babonde stiamo “bellamente” facendo il contrario: costruiamo Chiese. Una parrocchia missionaria, Babonde, con 41 villaggi. Di essi la più parte si incontra, celebra la messa ed in qualche caso fa scuola, in construzioni tradizionali. Il metodo impiegato è il medesimo che per la costruzione delle case. La tecnica tradizionale prevede l’intelaiatura di pali di legno infissi nel terreno, intrecciati e legati con corde ricavate dalle liane. Questo è il lavoro degli uomini. Per l’intonaco, prodotto con il terreno del luogo ed aggiunta di acqua – volgarmente chiamato fango – entrano in azione le donne. Infine di nuovo gli uomini con pali e corde per l’intreccio del tetto e le “tegole” prodotte alla machette con un legno dolce, chiamate “mapara”. Per coloro che desiderano una protezione più economica ecco le “ndelé” (intreccio di foglie di rafia, la palma che produce del buon vino – sinceramente io preferisco il distillato di questo vino), o ancora più economici, dei “pacchetti” di foglie o semplicemente dei fasci di lunghe erbe. Inutile dire che la “tenuta” all’acqua varia considerevolmente: 5/10 anni per le “mapara”; 6 mesi/un anno per le “ndele” qualche mese per le foglie o erbe. Occorre aggiungere che un migliore risultato si ottiene alimentando quotidianamente un fuoco all’interno della casa in modo da uccidere i numerosi insetti che si rifugiano e si nutrono del “tetto”. Uesto fuoco ha come inconveniente dei danni notevoli alla salute degli inquilini a livello di vista e di respirazione. Per le chiese il problema del fuoco non sussiste, ma quello della “durata” è sempre in agguato, molto spesso un colpo di mano alla “caduta precoce” delle costruzioni, è dato dalle termiti che mangiano dal di dentro l’intelaiatura di pali, o da forti raffiche di vento. Perché allora non pensare ad una chiesa di mattoni? E se attorno ad essa si concentrasse anche un nuovo impulso allo “sviluppo” sia della “qualità di vita” sia della forza della comunità cristiana? Due allievi muratori per ciascun villaggio che arrivano a Babonde per i primi rudimenti pratici – domani saranno gli esperti collaudati nel loro villaggio anche per la costruzione di scuole, ambulatori, case –; il lavoro comunitario dei cristiani per scavare le fondazioni, estrarre le pietre e la sabbia, pressare e cuocere i mattoni; l’entusiasmo e il coraggio di tutto un villaggio che si mobilita per un obbiettivo comune e che nella perenne ristrettezza economica minata da “urgenze” di ogni genere riesce a raccogliere del denaro per acquistare due tre sacchi di cemento… Per le lamiere del tetto si vedrà in seguito… qualcuno aiuterà.Chiesa di mattoni? Chiesa di persone? L’enigma permane. Tentare le due soluzioni nello stesso tempo resterà un azzardo? Ci dimenticheremo dei poveri? Oppure potremo dimostrare che esistono delle energie inesplorate che, ben indirizzate, potranno fare meraviglie in tutti i settori? Una risposta rapida non è possibile. L’Africa della foresta è l’Africa dei tempi lunghi. Qualche anno appena… e potremo fare verifica.

martedì, settembre 09, 2008

Materiali e Cuori


Ciao a tutti, in questi giorni ci è arrivato il camion della missione di Mambasa dopo 5 giorni di viaggio al limite del possibile per portarci carburante, cemento e "la Befana", fuori tempo ma graditissima ed insperata : casse e pacchi, con dentro occhiali, gruppi elettrogeni, saldatrici, trapani, demolitore, smerigliatrici, attrezzi, punte, vesti per chierichetti, carica batterie, computers e stampante, materiale di cancelleria, macchine da scrivere, libri in francese, amplificatore, muta per calciatori, sementi... e tante altre buonissime cose... un grazie grandissimo a tutti quanti hanno collaborato alla enorme colletta, ciascuno secondo le sue possibiltà e la larghezza del cuore, piccoli ed adulti, singoli, gruppi ed aziende... Il Signore sa come benedire secondo la sua misura. Se poi "c'è più gioia nel dare che nel ricevere", misurando la nostra gioia di questi giorni, vogliamo sperare che la vostra sia debordante. Sicuramente la vostra generosità ha superato le attese. Al di là delle casse e dei pacchi vogliamo anche cercare di vedere il cuore e le mani dei tanti che oramai sanno di avere dei "lontani" divenuti fratelli.
E' un grazie che esprimo a nome personale e di p. Gianni Lamieri, ma anche a nome dei tantissimi di Babonde e dintorni, che ne potranno usufruire.
Al momento di scaricare il materiale, scherzando facevo notare che sui pacchi erano incollate le etichette con scritto il mio nome, e che quindi non dovevano nascere strane idee di appropriamento indebito o di "desideri" malposti ... "erano tutte cose per me"!!! Con tutta tranquillità, uno degli uomini fa notare che "non c'è problema, tutto quello che arriva per p. Renzo è per Babonde e per tutti quanti sono a Babonde, il beneficio sarà per tutti".
Già il giorno dopo, c'era una piccola coda dalla Josephine, la ragazza che ci aiuta per la gestione dello "spaccio" con il materiale di cancelleria e tante altre cosette, le più varie. Erano in coda per provare gli occhiali così indispensabili soprattutto per i maestri/e all'inizio del nuovo anno scolastico, alcuni mesi di mancanza delle gradazioni necessarie avevano creato una vera attesa. Tutti gli altri materiali troveranno un impiego progressivamente, siamo ancora in fase di costruzione della sala che ospiterà i computer ma la scuola inizierà con nuovo vigore quest'anno. La costruzione è un pò a rilento perchè piuttosto che chiamare dei muratori da atre città abbiamo preferito aprire una "scuola pratica" di muratori così da avere delle persone capaci e native del luogo.Mi dispiace non poter far conoscere il volto dei tanti che da lontano "amano" Babonde (devo scrivere così perchè non so se posso chiamare gli abitanti di Babonde dei 'babondiani' o 'babondini'...)... ma spero davvero che prima o poi saremo pronti ad accogliere i coraggiosi che vorranno vedere Babonde da vicino, lasciando ad altri foto e parole di commento. Ciao, un abbraccio.

domenica, luglio 20, 2008

Prigione

Prigione
Niente fotografie, il sito è sensibile. Come all’epoca del dittatore Mobutu dove tutto era “sito sensibile per la sicurezza nazionale”, alla prigione e soprattutto in città, è meglio non fare fotografie per non incorrere nelle classiche “tracasserie” di soldati, polizia o gente qualunque in cerca di espedienti per raccogliere qualche dollaro dalle situazioni le più disparate. Quindi: niente fotografie!
Oggi domenica, con p. Vilson siamo alla prigione centrale di Kisangani per la messa. Edificio fatiscente in mattoni rossi con due torrioni che danno l’idea di una costruzione crociata medioevale. Un muraglione di cinta alto una dozzina di metri. All’interno, addossato al muraglione, lungo ilati destro e sinistro, le celle comuni per i prigionieri, in tutto trecento in questo periodo. La sola metà delle celle è effettivamente utilizzata, l’altra metà è senza tetto: le lamiere sono state tolte e vendute dall’allora direttore del carcere per far fronte alle spese ospedaliere della sua mortale malattia. All’entrata ci attendono due catechisti che seguono alcune situazioni particolari dei detenuti e animano le celebrazioni. Due volte la settimana le comunità dehoniane di Kisangani portano il pasto per tutti i detenuti. In mancanza di questo sono i parenti degli stessi a dover provvedere. All’entrata colpisce il numero di persone che grida a voce alta… non posso decifrarne il significato ma posso interpretare siano grida di liberazione, di sfogo della rabbia e dell’impotenza. Frequentissimo il caso di detenuti che da anni attendono un processo. Se non c’è il l’olio del denaro il motore della giustizia non gira, neanche a basso regime. L’etàmedia è sui trenta/trentacinque anni. Colpiscono i voltigiovani, qualcuno con lo sguardo assente, qualche altro evidentemente denutrito, qualche altro malato. La celebrazione raggruppa una sessantina di prigionieri. I canti in lingala, il rito in kiswahili, la partecipazione sincera. Il rito cattolico se seguito in maniera stretta non prevede un grande coinvolgimento esteriore dell’assemblea alle preghiere, ma forse ce ne sarebbe davvero bisogno per lasciare spazio all’animo di questi uomini di esprimersi, rischiando magari qualche parola fuori posto, non sarebbe così grave.
Siamo sotto la tettoia centrale, mentre all’intorno la vita del carcere continua, qualcuno spacca della legna, qualche altro cucina, un giovane prepara una lettera da spedire all’esterno…
Al termine mi avvicinano quattro uomini di una cinquantina d’anni, vengono da Isiro, impiegati dell’amministrazione provinciale, sono stati accusati dal loro capo di Kisangani di aver fatto sparire dei soldi pubblici e quindi condotti in prigione da oramai quattro mesi. Anche per loro nessuna notizia ulteriore di processo o di giudizio. Quando vengono a conoscenza che sarò di ritorno a Isiro tra qualche giorno, con parole piene di speranza mi chiedono di salutare le loro famiglie, senza però fornirmi indirizzo o riferimenti. Emozione? Ingenuità? Oppure già soddisfatti di aver potuto parlare con qualcuno di “casa”, per modo di dire, poiché d’Isiro conosco veramente poco. In ogni caso nei loro volti la gioia.
Si dice che il pesce comincia a marcire a partire dalla testa. Loro si dichiarano ovviamente innocenti e non è il caso di entrare nel merito della vicenda. Resta evidente che nella rete della fatiscente giustizia congolese sono i piccoli pesci che vi rimangono intrappolati. Tra le molte evangelizzazioni da fare, anche l’evangelizzazione della giustizia sarebbe urgente. Ad Isiro ho scoperto “Avion sans frontiers”, ma anche “Giustizia senza frontiere” troverebbe un suo spazio di lavoro.

Chitarre


Era oramai un anno e mezzo che non mettevo piede a Kisangani e non facevo visita al Saint Laurent.
Iniziato alcuni anni fa da alcuni nostri confratelli, raccoglie ragazzi di strada, qui li chiamano "scegghe" non numerosissimi a Kisangani, per fortuna, ma pur sempre una realtà triste a vedere e da affrontare. Frutto soprattutto dei disordini di ribellioni armate e fughe improvvise, o di una miseria che diventa disperata fino al punto di rigettare il frutto del grembo.Altre volte ancora sono il prodotto di mentalità ancestrali che obbligano a trovare dei colpevoli, responsabili certi, di malattie o disgrazie avvenute nella famiglia. Molto spesso sono vecchi e bambini incolpati d'essere "sorcier", iettatori, portatori di malore o di spiriti di demoni. Ecco che vengono abbandonati a se stessi, allontanati dalla famiglia quando non sono uccisi. Ragazzi di strada ai quali la maison Saint Laurent per i maschi e la maison Bakita per le ragazze tenta essere un interlocutore, certamente efficace a livello logistico come l'abitazione, il cibo, il vestire, ma che stenta a trovare il passo giusto a livello educativo, anche se responsabile e diversi operatori e volontari si fanno in quattro per raggiungere lo scopo. Tra di essi anche una conoscenza italiana, padre Corrado che con i ragazzi ha iniziato un laboratorio di costruzione per chitarre elettriche. Tutto fatto a mano con estrema pazienza e con una perizia che si affina di anno in anno. Corrado è quest'anno direttore dello studentato filosofico per i candidati al sacerdozio e professore nello stesso istituto. Nel laboratorio di chitarre e con i ragazzi vive, spontaneità di relazioni, freschezza di amicizie, coinvolgimento educativo che nell’istituzione cattedratica è più difficile costruire. Le chitarre prodotte vengono vendute, si paga così il materiale e rimane un margine per i giovani artigiani ed il loro saint Lorent. Nello stesso tempo i ragazzi imparano i fondamentali di un mestiere e il gusto di dedicarsi al lavoro. Non male. Forza Gianni, Corrado, Fidel e tutti gli altri del saint Laurent.

Autosufficienza alimentare


Autosufficienza alimentare
Anche qui in Congo (ad essere precisi occorre scrivere più lungamente “Repubblica Democratica del Congo”), circola notizia della crisi alimentare che imperversa oramai a livello mondiale. Dalla nostra Babonde, per contro, non vediamo le conseguenze nefaste delle speculazioni planetarie o della conversione di colture a scopo alimentare in colture per produrre biocarburanti. Ogni famiglia ha il suo campo con le benedette e provvidenziali foglie e tuberi di manioca, mais, patate dolci (visto che quelle normali - per noi - non crescono bene in questo clima), banane, fagioli e riso. Certo nella capitale Kinshasa, con i suoi quasi sette (qualcuno stima dieci) milioni di abitanti, dove tutto deve essere trasportato dal di fuori su di una rete stradale fatiscente, e dove ogni famiglia deve acquistare ogni giorno il necessario le cose sono nettamente diverse, la crisi è reale. Anche a Kisangani, terza città della repubblica i prezzi sono alti in relazione a quanto si può acquistare in villaggio. Ecco che dei nostri intraprendenti confratelli brasiliani, missionari da queste parti, hanno pensato bene di integrare le razioni alimentari con della buona carne di mucca autoprodotta sul posto. Lavoro non semplice: disboscamento di qualche ettaro di foresta per lasciare posto al pascolo (non si parla ancora di deforestazione), trasporto in aereo di qualche “campione” di mucca (e toro naturalmente) e molta attenzione medica nei primi tempi di adattamento. Oggi il risultato è visibile, al pascolo ed in padella. Nessun pericolo di mucca pazza e "Buon appetito" a tutti.

Grison

Era il 1897, sulle rive del fiume Congo iniziava la presenza cristiana nelle terre della provincia Orientale. Pioniere il missionario Grison SCJ che si installa a S. Gabriel, qualche chilometro fuori dalla città di Kisangani. Lontano dal centro abitato, con lo scopo di non confondersi troppo con i molti altri bianchi già arrivati e che arriveranno, coloni, uomini di commercio e d’armi. Il Vangelo deve mantenere la sua libertà. Gli uomini di vangelo abitano questo mondo ma non sono di questo mondo… E’ l’inizio di una storia gloriosa e difficile, entusiasmante e contrastata, attraverso la quale annuncio e liberazione cristiana si sono impiantati ed hanno cominciato a donare frutti. Potature sono sempre necessarie, ma di tanto in tanto gustare il raccolto è un altro modo di rendere gloria a Dio. Nella nostra Babonde, dove il Vangelo è arrivato molto più tardi, già alcune volte ho sentito affermare “prima di diventare crisitani certe faccende con le tribù vicine le risolvevamo con lance e frecce… adesso non è più così”… Certo, forse il più è da fare: come in tutte le opere divine, l’azione degli uomini è faccenda di “bricolage”, ma occorre riconoscere la grandezza di fede e di coraggio di chi si è reso disponibile per iniziare quest’opera di annuncio cristiano.
In questa settimana sono esattamente qui, a Kisangani, a S. Gabriel dove tutto è cominciato. La prima parrocchia, la tomba di mons. Grison, tempra di ferro nell’anima e nel fisico, e le tombe di moltissimi giovani nuovi arrivati, falcidiati dalla malaria in un tempo in cui le medicine appropriate erano ancora sconosciute. Una casa per ritiri spirituali e formazione cristiana. Le realtà evolvono, non è più tempo di imparare i rudimenti della vita di Gesù, le preghiere cristiane e ricevere il battesimo, ci vuole qualcosa di più sofisticato, ma nel profondo la sostanza rimane: dare il proprio cuore, la propria intelligenza le proprie forze a Dio incontrandolo nei fratelli, potando le ipocrisie.
Mons. Grison aiuterà.

mercoledì, giugno 25, 2008

Giustizia, Adulterio, Società civile,Coraggio.


25/06/08
Già, giustizia! Ad ogni paese il suo modo di intenderla.
Cosa ne direste del fatto che un giovane sorpreso in “fragrante adulterio” con la terza moglie di uno “chef” tradizionale, è punito, e con lui l’adultera?
La legge statale congolese prevede da uno a tre mesi di reclusione per la colpa dell’adulterio, ma non riconosce ufficialmente la poligamia. Quindi a rigore di termini la terza moglie non è moglie e l’adulterio di fatto non c’è stato. Ma è una logica che non tiene.
Il giovane e la donna, nudi e ben battuti, hanno camminato fino alla prigione, coperti di oltraggi. Lì sono rimasti feriti ed affamati per alcuni giorni prima che i rappresentanti della Società Civile si presentassero per sincerarsi delle condizioni dei due rei, reclamando la necessità di cure e di alimentazione.
Già, la Sociatà Civile. Nome misterioso per indicare una realtà ancora non conosciuta ma che ha già fatto la sua apparizione – non timida – anche a Babonde, ultimo anello di una rete che si sta beneficamente diffondendo su tutto il territorio nazionale. Per intanto a Babonde significa un piccolo nucleo di persone con a cuore la difesa dei diritti delle persone, di fronte alla non conoscenza della legge e all’abuso di potere da parte di numerose realtà, quali i capi tradizionali, la polizia, i militari, gli agenti del governo… Un lungo periodo di transizione (cioè di quasi assenza del governo centrale) e un altrettanto lungo periodo di anarchia negli anni delle differenti ribellioni, hanno fatto sì che coloro che potevano approffittare di una qualche autorità lo hanno fatto, sempre senza vergogna, e talaltra senza misura né scrupoli.
Due giorni dopo l’ispezione alla prigione e l’annuncio di un rapporto da inviare ai superiori, due dei rappresentanti della nostra Società Civile, partono per una nuova misione: indagine in un villaggio ove la polizia ha saccheggiato arbitrariamente polli e maiali di numerosi famiglie dietro il pretesto dell’infrazione al Salongo (il rifiuto di lavorare per un qualche interesse comunitario: manutenzione di strade, scuole, ambulatori sanitari…). Ma il loro viaggio si arresta bruscamente poiché il capo locale, di cui sopra, ed i suoi uomini insieme, li circondano e li minacciano seriamente: ”chi è questa società civile?”, “cosa pretende di essere?”, “con quale diritto interferisce nelle faccende di un capo?” “vedrete cosa vi succederà”… Fortunatamente nel luogo dell’assedio, la rete telefonica è attiva (nel nostro territorio lo è a macchia di leopardo e i nostri sono caduti su una buona macchia) e l’intervento telefonico della massima autorità locale permette ai due di uscirne indenni. I due sono scossi, ma non intimiditi, fedeli alla metodologia della nonviolenza, hanno tenuto testa alla situazione senza farla degenerare… anche di questo faranno rapporto.
Coraggio, già, occorre parlare di coraggio perché in luoghi chiusi come lo sono i villaggi in missione l’autorità dei capi e la forza della tradizione la fanno da padroni, assieme ad una ‘paura ancestrale’ che pone freno e fa da blocco ad ogni novità che tenta di emergere. Ma in un luogo fertile come la foresta tutto quello che getti per terra germoglia rapidamente, con forza. Unica attenzione da avere è seguirne la crescita. Ecco che a distanza di settimane gli uomini della Società Civile sono chiamati a ‘tenere lezione’ ai capi locali radunati in consiglio; ecco che il capo della polizia chiede almeno di essere avvisato prima che sia fatto rapporto ai suoi superiori (forse nelle sue parole prevale più l’intenzione di un accomodamento preventivo da ricercare, più che la manifestazione di aver compreso qualcosa su un nuovo modo d’agire).
Tutto bene?
Nel frattempo il capo in questione ha fatto bruciare la casa della famiglia della donna adultera, e non ha mancato di minacciare la famiglia del segretario della Società Civile.Un direttore di scuola primaria, parlando di tutte queste cose mi chiede: “Ma… forse che il giovane e la donna adultera non dovevano essere puniti?”

Finalmente VEDENTI


Che i ciechi possano vedere è una delle grandi promesse evangeliche. Noi nel nostro piccolo - non essendo formiche e quindi senza ... - non potendo fare miracoli, cerchiamo di dare un aiuto a coloro che hanno problemi un pò meno gravi della cecità. Ecco allora un'iniziativa di solidarietà che a partire dall'Italia, con centro alla Scuola Missionaria di Padova, tenta di dare una risposta, semplice ma importante ed efficace, a tanti nostri fratelli di Babonde e dintorni: occhiali, semplici occhiali per maestri, insenganti, "intellettuali", lettori nelle liturgie, mamme della scuola di alfabetizzazione, catechisti... i cui occhi si sono oramai indeboliti, in un contesto povero di mezzi economici ma anche di specialisti e di materiali. Se voui saperne di più e se vuoi collaborare, visita il sito seguente: www.scuolamissionaria.it Grazie a nome di tanti.

L’adolescenza di Daniya

15.05.2008
La poligamia è per noi un po’ un mistero, nel senso che non entra nei nostri parametri culturali e se si può pensare che l’avidità del “desiderio” è ad ogni istante propensa ad infrangere i limiti, difficile è per noi comprendere come una donna possa ben accogliere la “coabitazione” con altre colleghe. Gli interrogativi non si fermano qui ma è di una giovane donna che vorrei parlare, graziosa, insegnate in una delle nostre scuole per pigmei. Mi aveva stupito, ancora qualche tempo fa, il saperla seconda moglie di un uomo molto più anziano di lei, così giovane che ancora studiava per ottenere il diploma che le avrebbe permesso una migliore qualifica come insegnante. A volte sono i parenti a dare la figlia in moglie, senza che la ragazza abbia molte possibilità di esprimere desideri o preferenze. Altre volte è il futuro marito che scieglie la ragazza e la famiglia di questa non rifiuta, per non entrare in litigio oppure per stringere maggiori legami con la famiglia del genero. Anche la legge civile dello stato congolese non riconosce le poligamia ma questo non significa gran cosa, segno che le tradizioni ancestrali sono ben radicate ed influenti; una buona parte della popolazione grazie soprattutto all’evangelizzazione, abbandona la pratica poligamica, ma essa non è oggetto di “scandalo”, né è raro trovare dei cristiani che fanno “ritorno” alle abitudini di prima. Spesso l’infecondità della moglie o una sua malattia è un motivo fortemente legittimante per aggiungerne una seconda; altre volte è semplicemente l’anzianità della prima. Ancora, una donna può rientrare alla sua famiglia a causa di un lutto e rimanerci per lungo tempo, trattenuta dai parenti, lasciando i figli al padre che nel frattempo “colma il vuoto”. Ma tutte queste sfaccettature non mi sembravano fatte per essere indossate da Daniya, e ne ho avuto la conferma l’altro giorno. Viene per chiedere un anticipo sul salario di insegnante: deve pagare il contributo scolastico trimestrale, non dei suoi figli ma dei ragazzi che suo papà gli ha lasciato quando è morto e che sono a suo carico… capisco che sono i suoi fratelli più piccoli, ma non domando se sono i figli della stessa madre. E’ un anticipo di 5000 franchi congolesi, vale a dire quasi la metà di tutto il salario che si aggira sui 25 dollari (meno di 20 euro). Terminato il capitolo salario indugia un po’ prima di andarsene. Mi chiede allora quanto costa una Bibbia, visto che ne abbiamo diverse copie a disposizione. Dieci dollari è un prezzo improponibile per lei, almeno per i prossimi due mesi, ma può permettersi un Nuovo Testamento per il costo di un solo dollaro. Mi specifica che quando era giovane era del gruppo dei Bilenge ya Mwinda, i “Giovani della Luce”. E’ a questo momento che gli chiedo come ha conciliato questa appartenenza ad un gruppo di giovani formati ed impegnati con l’entrare in una famiglia poligamica. Mi dice che al tempo del matrimonio non è stata costretta, è stata una sua scelta, era ancora molto giovane e non sapeva valutare bene le cose. “Ma non avevi nessuno che ti potesse consigliare?”. “Cosa vuoi - mi dice – quando si è adolescenti non si ascolta nessuno”. I suoi occhi sono un po’ lucidi. Ed aggiunge: “Ma tu cosa mi consiglieresti adesso?”.Altre persone sopraggiungono e la conversazione non puo continuare. E’ vero, le difficoltà dell’adolescenza non sono risparmiate ad alcuna cultura sotto tutte le latitudini. E’ vero, i ragazzi e ragazze di qui sono spesso dei ragazzi/genitori che imparano in fretta a badare a sé stessi, a pagarsi le spese scolari, i vestiti, a procurarsi il cibo e a badare ai fratellini più piccoli. In momenti di tensione con i parenti accade che i ragazzi scappino alla miniera e che le ragazze trovino casa altrove… e chi di noi non è fuggito almeno una volta di casa, non fosse che per fare il giro del quartiere? “Mungu akipenda” forse ci parleremo ancora con Daniya e la storia della sua adolescenza.

giovedì, aprile 03, 2008

Popoli


Wamba, seminario di studio sulla inculturazione: uomini di mondi culturali diversi che si incontrano e cercano di parlarsi, di intendersi. Di mezzo c’è il Vangelo da annunciare e tante incomprensioni. Storie di colonialismo: degli europei in Africa e di etnie africane su altre etnie vicine. La presunta superiorità di una cultura sull’altra, l’attitudine al giudizio veloce senza ascolto, il buono dalla nostra parte ed il cattivo dall’altra o viceversa. Il dialogo che si trasforma in monologo ed è uno solo a parlare; la comunicazione che diventa ordine e comando, perdendo lo “scambio”…
A Natale si dice che è un Bambino a salvarci. Da qualche altra parte è scritto che anche per noi è bene avere un animo da bambini. A Pasqua di dice che occorre rinascere di nuovo…
Un bimbo pone infiniti perché ai grandi; accoglie risposte senza formulare giudizi; non teme di dimostrarsi “ignorante” poiché questa è la sua sola saggezza per poter apprendere.Una innata simpatia gli permette di essere avvicinato e di avvicinare, infatti non è pericoloso per nessuno. Perché ci si sposa così? Si fa il lutto in questo modo? E le alleanze, la gestione del potere, il cibo, l’abitazione, il vestito, la caccia, l’ornamento, le danze, il lavoro, i proverbi, le preghiere, i riti, il gioco…
Sarà un animo da bambino che permetterà anche ai grandi di cogliere il perché di tante cose di fronte a culture diverese. Sarà ancora un animo di bambino, nella sua ingenuità, a svelare il mistero di un Vangelo che domanda di essere portato fino ai confini del mondo, incontrando – disarmato - i popoli che lo abitano.
Qui siamo Wabudu e Walika, Bambote e Bakongo, Wanande e Bangbwetu, Spagnoli ed Italiani, Portoghesi e Colombiani, Brasiliani e Lussemburghesi… Una Parola che è Verbo ci unisce, anche se da tempo è coniugata in tanti modi differenti.
Coloro che la accolgono, accolgono la luce ed escono dalle tenebre! Questa affermazione, “assoluto” e principio della fede, può essere dimostrata nella sua verità, solamente dalla storia degli animi liberi e dei popoli liberi che la scielgono... e la vivono.
Chi non accoglierà un bimbo? Chi non desidererà rinascere a vita nuova? Il fascino ci attrae.

lunedì, marzo 17, 2008

BUONA PASQUA


Poche parole, una semplice foto ed un grande augurio di Buona Pasqua.

venerdì, febbraio 22, 2008

La signora della notte


Un domenica pomeriggio, a Yambenda, circa un mese e mezzo fa è scomparso un uomo. Secondo quanti lo hanno visto per l’ultima volta, è entrato nella foresta e non vi è più ritornato. E’ un uomo sulla cinquantina, sufficientemente agiato, secondo le possibilità locali, ha lavorato con l’oro nella “carrière” nelle miniere a cielo aperto dove con utensili a mano si scava e si spaccano le pietre per trovare i piccoli preziosi frammenti di metallo pregiato. Nessun problema con la famiglia, nessuna malattia apparente. Molte voci circolano sulle possibili cause della sua sparizione, la più ricorrente è quella legata al suo lavoro. Moltissimi tra coloro che entrano alla “carrière” per assicurarsi una buona sorte e una ricca riuscita in quel lavoro pesante e “disumanizzante”, votano se stessi a qualche spirito del male, stringendo con lui un patto.
Oggi, molti pensano che questo spirito del male, “la Signora della notte”, abbia chiesto qualcosa all’uomo scomparso.
Appunto un mese e mezzo fa. Ora siamo in piena stagione secca, le acque dei torrenti e dei fiumi che attraversano il territorio si abbassano, tutti ne approfittano per cercare dei pesci, alla lenza o frugando nel fango rimasto nei bordi del letto. Risalendo il corso del fiume, più del normale, finalmente è stato scoperto quello che resta oramai del corpo dell’uomo. Dei vestiti ed una corda appesa ad un ramo dicono che la morte è avvenuta per impiccagione. L’uomo che da giorni, senza avvisare nessuno, approfittava della notevole quantità di pesci che si nutrivano del corpo caduto in acqua è stato arrestato.
Sono alcuni “waganga wa asili”, che compiono sortilegi per coloro che cercano ricchezze da acquistare velocemente, in cambio naturalmente di una contropartita da pagare, parte in anticipo, parte in fasi successive. Lo stregone prepara un olio con il quale viene unto colui che entrerà nella “carrière” per cercare l’oro, ma chiederà anche che gli sia venduta una persona della famiglia. Questo significa che inconsapevolmente una persona è consegnata allo spirito del male e di lì a poco tempo sarà votata alla morte, nel senso che per ragioni inspiegabili troverà la morte. Per colui che cerca maggiori ricchezze a più riprese, costui venderà più volte persone differenti della propria famiglia. Il sortilegio è sempre efficace, a meno che, la persona che ne fa richiesta, non rispetti alcune delle condizioni poste dal “mganga wa asili”, come astenersi dai rapporti sessuali o non mangiare alcuni cibi… talvolta è chiesto alla persona stessa di uccidere colui che aveva precedentemente venduto allo “schetani”. Colui che dopo essersi ingaggiato in un percorso simile tenta di uscirne senza l’accordo del “mganga” correrà seri rischi di divenire un malato mentale…
E molte altre cose ancora si raccontano…
Che pensare?
Lascia sconcertati la semplicità e la credulità di buona parte delle persone di villaggio circa la veridicità di tutti questi racconti. Ma ugualmente lascia sconcertati il numero impressionante di persone che fanno ricorso a pratiche simili. Talvolta la “logica della ricchezza nella carrière” è una logica che serve a spiegare molte morti giovani, improvvise, poiché la morte, qui come altrove non trova giustificazione né consolazione, soprattutto là dove non è entrata la luce della speranza cristiana. La “logica” di questi sortilegi serve anche a spiegare il fatto che alcuni possano diventare ricchi a differenza di altri, poiché una mentalità uniformante e statica non accetta di buon grado che qualcuno con un proprio lavoro supplementare abbia potuto guadagnarsi lecitamente qualcosa in più rispetto agli altri. Questa “logica della carrière” infine, conferma una volta di più che sete del denaro e spirito del male si tengono strettamente per mano e in molti non esitano a farsi abbracciare da essi senza calcolo alcuno su tutto il resto che mettono in gioco.

Il Vangelo può portare la sua luce di verità.

350 FC per il catechista di Bavamabonza


7 febbraio 2008
Bavamabonza è un kijiji (villaggio) sulla strada per Gbunzunzu. Di ritorno da una cappella sulla stessa strada, p. Gianni ci porta la notizia della morte di uno dei catechisti… un po’ di sconcerto ci prende. A causarne la morte è stata un’ernia inguinale, non curata, che alla fine si è “strozzata” provocando una infezione interna… fatale. Banale e drammatico. Oggi è martedì. Venerdì scorso anche lui era qui alla riunione di tutti i catechisti della parrocchia e aveva chiesto a Gianni i 350 franchi congolesi – più o meno corrispondenti ai nostri 350 centesimi di euro – che non possedeva, per fare la consultazione all’ospedale. Una consultazione alla fine tardiva. L’operazione dell’ernia sarebbe costata, intervento e medicinali, all’incirca quaranta euro. Alcuni pensieri in disordine.
“Assolutamente mai avere soldi in casa, è l’abitudine di quasi tutte le famiglie”: le troppe urgenze, fratelli e bambini e vicini che possono chiedere un aiuto… non vale la pena “mettere a parte” e per chi lo fa, il gioco dura poco… se si ha qualcosa in denaro occorre spenderlo subito per acquistare qualcosa, prima che “voli”.
“Possibile che nessuno, fratelli della famiglia, o cristiani del villaggio, non siano accorsi in aiuto in tempo?”. Per il “matanga” – il raduno per il lutto, per piangere il defunto - la contribuzione è scattata rapidamente. Ma è anche vero che di fronte alla malattia l’atteggiamento più comune è attendere pazientemente che passi, scrutarne l’evoluzione per intervenire solo quando si è alla fine della forza di sopportazione, quando finalmente è troppo tardi.
A consultazione avvenuta, nell’ambulatorio locale, a qualche chilometro di distanza, mancava l’infermiere titolare, gli sono state prescritte delle compresse contro i vermi intestinali! Potenza del sistema sanitario! Avvenuta la peritonite, inutile pensare qualsiasi intervento d’urgenza: trasportarlo dove in tempo utile?
Ricordiamo in questi giorni che l’uomo è cenere e alla cenere ritorna. Per quali vie la nostra storia viene alla luce e in quale momento ritorna tra le mani di colui che l’ha creata? Possediamo la domanda ma non la risposta. Possiamo credere e praticare un abbandono confidente.

venerdì, gennaio 18, 2008

MUNDIAL


E’ giorno di “Mundial” questa domenica dell’Epifania, è il giorno di mercato a Babonde, la domenica ogni quindici giorni: enfaticamente chiamato appunto “Mundial”. Quindi c’è molto più movimento dei numerosi che vengono dai villaggi vicini, anche alla missione c’è il via vai di persone che salutano si fermano, chiedono… Puntualmente anche Maria, ragazza di circa 25 anni, tre figli a carico, disturbata psichicamente dall’epilessia, numerose cicatrici qua e là, segni di bruciature sul collo di quella volta che è caduta sopra le braci del fuoco è lì è rimasta fino al passaggio della crisi . Normalmente chiede un piccolo aiuto economico, di volta in volta, per acquistare del sale, del riso, del pesce salato per lei ed i suoi bambini, una pentola, una bottiglia di olio in questo periodo quando i prezzi sono più che raddoppiati, vista la carenza nella stagione secca. Qualche volta “rompe” ma è simpatica, oggi viene con un piccolo uovo di gallina in dono, altre volte, quando è stagione, con la gbombolia, la noce di cola. Da un po’ di mesi il mio confratello, molto più ferrato di me in medicina, la aiuta con il Fenobarbital, una compressa al giorno… le cose vanno decisamente meglio, ed anche quello che dice è più articolato e comprensibile: lei parla di preferenza il kilika, io l’italiano ed il francese (oltre al veneto), tentiamo così di comprenderci in kiswahili. Dice che è stanca di essere trattata come un animale o di vivere come un animale o di dormire dove vivono gli animali (non ho potuto ben distinguere). Lei è sola con i sui bambini al villaggio – ossia la famiglia allargata – e nessuno si cura di lei. Quindi, con molta semplicità propone di venire a vivere qui nella nostra casa (la popolazione lo chiama “couvent”, convento), assicura che non ruberà nulla e si comporterà bene. Scambiamo qualche parola, le do il piccolo aiuto, constatiamo insieme che è molto cambiata in meglio e che se continua così potrà ricevere il rispetto da quelli della sua famiglia e le cose sicuramente potranno migliorare. Da pochi giorni ero rientrato da Isiro dove avevo scaricato le mail, così nel pomeriggio mi metto a leggerne qualcuna. Tra queste gli auguri di un amico prete, missionario che interpreta il suo Natale e la venuta del figlio di Maria, con le parole di Gesù a Lazzaro: “oggi devo fermarmi a casa tua”. Maria disturbata psichicamente, il questo giorno dell’epifania è la manifestazione del Signore a me. Non credo sarà la cosa giusta tentare di vedere se effettivamente potrà vivere qui, ma la sua domanda resta e chiede una risposta. Occorrerà scendere dall’albero.

domenica, gennaio 06, 2008

chef...


I Pigmei di Badedeka
E’ il 2 dicembre e scrivo in una afosa serata pensando alla giornata di Badedeka, mercoledì scorso. A Badedeka da più tempo, rispetto a qualsiasi altro accampamento, sono “usciti” dalla foresta i pigmei, per installarsi a fianco del villaggio dei nyeusi ossia dei neri, nome con il quale i pigmei chiamano i bantù, popolazione locale che arrivò in questi territori solo in tempi recenti rispetto agli abitanti primitivi, i pigmei appunto. I pigmei rispetto ai neri bantu sono effettivamente un po’ più chiari di carnagione, e piccoli! Per quale motivo i pigmei escano dalla foresta non è facile a dire, si possono mettere insieme un po’ di cose. Nella stagione delle piogge quando la caccia è difficile e i frutti sono scarsi è la necessità di procurarsi da mangiare, rubando qualcosa nei campi dei bantu che praticano l’agricoltura. Il loro furto non è mai in grande scala, prendono il necessario per la sopravvivenza del giorno. Oppure escono dalla foresta in cerca di cure laddove la loro medicina tradizionale non riesce ad arrivare; molte volte sono ferite alle gambe procurate da spine o per qualche parto difficile. Ancora un motivo è la grande curiosità di vedere e conoscere, i mercati soprattutto. Ultimamente un’azione di promozione del popolo pigmeo li spinge a riunirsi in accampamenti dove imparano a costruire delle case più decenti delle loro tende fatte di piccoli rami intrecciati e di foglie; imparano un po’ di norme igieniche, a costruire un gabinetto a praticare la coltivazione dei campi e ad inviare i figli ad una scuola pensata apposta per loro, per poterli introdurre in seguito alla scuola elementare statale. E’ un popolo semplice ed ingenuo, sincero ed immediato. Della foresta conoscono i segreti ma nella vita sociale dei bantu si sentono “fuori casa” e nutrono un senso di inferiorità che fa sì che siano spesso sfruttati. Per contro i bantu li hanno per lungo tempo considerati inferiori a loro, mezzi uomini, non solo in statura ma in dignità La mancanza di vestiti, la difficoltà della lingua, la non conoscenza del valore del denaro sono altri elementi che li contraddistinguono. Lavorano a giornata nei campi dei bantu in cambio di un po’ di cibo, qualche bicchiere di vino di palma o di un po’ di banghi (canapa indiana). In gruppi organizzati partecipano al lutto o alla festa delle famiglie, dove sono chiamati per animare o rallegrare con le loro musiche e danze i convenuti.
Qualche decina d’anni fa i pigmei di Badedeka che decidevano di uscire dalla foresta ed abitare a fianco ai bantu, venivano organizzati in un modo che ogni famiglia fosse affidata ad un bantu che ne diveniva il responsabile, ma si potrebbe anche dire il padrone. Erano così aiutati a costruire una loro piccola casetta, lavoravano i campi insieme al loro capo bantu, con lui e per lui facevano la caccia e ne godevano la protezione. Quest’ultimo doveva rispondere per loro di fronte alla società civile rispetto ad eventuali mancanze o disordini provocati da pigmei. Allora come oggi, se ad un certo punto i pigmei si sentono minacciati, o la stagione secca della caccia diventa un richiamo troppo forte, lasciano il tutto e rientrano nella foresta, loro “madre” sempre accogliente.
In questi ultimi anni il capo della chefferia bantu ha nominato un pigmeo chef della chefferia dei pigmei, ma la malattia d’essere capo ha infettato in fretta il semplice pigmeo. E’ appunto oggi che tutti insieme discutiamo sotto un albero di alcuni atti arbitrari che lo chef pigmeo ha commesso, con l’aiuto della sua polizia, nei confronti dei suoi pigmei accusando per contro un “animatore” bantu, ossia una persona che incoraggia i pigmei a costruire delle case, a costruire dei WC (vi manderò in seguito delle foto) ad iniziare la coltivazione dei campi, a farsi curare al dispensario. Parliamo per ore, un po’ in kiswahili e molto in kilika (loro, non io, ma mi sono fatto accompagnare da Celestin della commissione giustizia e pace di Babonde). Alla fine tutto è chiarito, l’animatore bantu non ha colpe; lo chef pigmeo riconosce di avere abusato ed esagerato, ma domanda che lo si aiuti a costruire una casa per lui e per gli ospiti. Ci dividiamo un po’ di gbombolia, il nome locale della amara noce di cola, segno di accoglienza e di amicizia.

Pronti per la festa


Natale 2007

5,30 del mattino, è domenica dell’Epifania, sono ad Isiro. La messa dovrebbe essere alle 6.00 poco lontano da qui, assieme ad un padre della Consolata, dove sono ospite ogni volta che vengo in città. Al contrario ci siamo accordati con due coppie di spagnoli per celebrare in francese. Sono missionari laici che rimangono in Africa per un progetto di tre anni. Uno di essi è un ragazzo molto capace con internet, così prendo accordi con lui per tentare di progettare una connessione a Babonde. Ad Isiro la lingua della liturgia è lingala, io oramai conosco un po’ di kiswahili e sarei un semplice ascoltatore. Loro soffrono ancora del “non capire niente” e li comprendo benissimo, celebreremo un po’ più tardi e ne approfitto per un saluto a tutti giusto nel giorno che conclude le feste di Natale, appunto l’Epifania… si potrebbe anche dire “manifestazione del Signore”, manifestazione non di tipo sindacale, sportivo, politico o folcloristico. Se penso al Natale di Babonde, confrontato con quello di casa nostra, devo dire che di “manifestazioni” ce ne sono poche. Fuori della chiesa l’unico segno visibile sono i presepi preparati dai ragazzi: piccole casette di rami di “rafia” ornati con qualcosa che può assomigliare al nostro muschio. Nella più parte dei casi le statue mancano completamente o sono costruite qualche giorno avanti con dell’argilla. Il commento di Fini (diminutivo di Josephine), una delle ragazze spagnole è stato il classico: “non sembrava neanche Natale”.
Da parte mia il Natale ho cominciato a celebrarlo la vigilia a Bamoka, all’aperto sotto una tettoia di rami di palma in occasione del quarantesimo giorno dopo il matanga; ossia il giorno della festa dopo il lutto. Nel pomeriggio invece a Badedeka, confessando lungamente attendendo il buio. La mezzanotte è stata anticipata alle 19.00 e qualche lampada a petrolio illuminava la chiesa in legno fango e paglia… una capanna un po’ “maggiorata”. Cinque i canti di ingresso. Nella predica quando si arriva a dire che Gesù è nato poveramente, è inevitabile sentire qualche borbotto e commento sommesso di approvazione. Ci si identifica con quest’uomo Gesù e con la giovane madre Maria, superando le barriere degli anni, della cultura, dell’etnia… se da parte sua Dio si fa uomo, l’uomo si identifica nella storia di questo nuovo nato, e patisce insieme, gioia e affanno. La notte l’ho passata a Badedeka senza danno. Facendo il viaggio qualcuno mi sconsigliava di farlo perché si raccontano storie di sorciers (uomini o donne che fanno malefici straordinari) secondo le quali un altro prete che vi aveva dormito anni fa era stato trasportato fuori della sua casa durante il sonno… La mattina di Natale, questa volta a Bavamabutu in molti mi hanno chiesto come avevo passato la notte. Le messe tre, ma la mia predica unica, non posso permettermi il lusso di improvvisare, non per il rischio di dire stupidaggini, ma per la lingua che non possiedo ancora così da poter parlare liberamente, quindi con tanta fatica scrivo… quando l’unica predica scritta prima di venire in Africa è stata quella della mia prima Messa.
Tra le altre cose mi soffermo un po’ sulla figura di Maria, la fecondità della sua verginità è stata colmata dalla azione di Dio. In questo contesto, come al tempo di Maria d’altronde, una donna senza figli non ha valore, è albero senza frutti. Possiamo credere che Dio ha la forza di portare frutti in ognuno che si affida e si rende disponibile a lui?Buon Natale a Tutti, buon Anno, a risentirci. p. Renzo