mercoledì, ottobre 24, 2007

posta


Ciao, alcuni problemi con la casella postale inattiva da tempo mi hanno fatto perdere tutta la vostra corrispondenza degli ultimi mesi ossia dal mese di giungo, mi dispiace tantissimo, avevo bisogno di “sentirvi” o leggervi. Coloro che mi avessero scritto e che non hanno avuto risposta possono tentare di inviare nuovamente allo stesso indirizzo: renzo.busana@dehoniani.itCiao Ciao.

La vita continua

Il « figlio » di Nangaa
E' giovedì, Nangaa oggi è preoccupato, suo figlio è malato, da ieri, ha ilcollo che progressivamente di irrigidisce. Chiede un aiuto per pagare lapiccola spesa della consultazione. Verso la fine della mattinata larisposta, si tratta di tetano. Alcuni giorni prima suo figlio è statocirconciso. E' il Kombi: due famiglie che decidono di stringere un legame diamicizia e di fraternità attraverso la circoncisione dei rispettivi figlimaschi. Il sangue dei due bimbi viene mescolato, è un patto che acquista ilpeso e l'importanza della familiarità. I membri delle rispettive famigliecosì come i nipoti non potranno sposarsi tra loro. In caso di bisogno siporteranno soccorso. E' una grande festa.In questi ultimi tempi si fa normalmente ricorso ad un infermiere che,direttamente nel centro di "santè" o trasferendosi personalmente presso lafamiglia ove si svolge la cerimonia, compie il piccolo intervento.Nel caso di Nangaa, lui ha scelto un ragazzo di sala, non un infermiere,quindi senza esperienza e con chissà quali strumenti. Ora il pasticcio ècombinato e si rivela enormemente grave.Sono già passati diversi giorni. Non c'è il siero a Babonde, occorre andarea Nebobongo, 35 chilometri di strade di "brousse". Celestin, il nostromeccanico ed autista prende la moto, carica la mamma ed il bambino. un po'di soldi per il siero. è un farmaco vitale, penso, non costerà molto. Nellafamiglia di Nangaa, come nel novantacinque per cento delle famiglie,affrontare una emergenza sanitaria è un rebus da risolvere sul momento.Alcun risparmio in casa, nessuna cura gratuita. Molto spesso coloro chegiungono all'ospedale vi giungono troppo tardi. Dopo un paio d'ore Celestintorna, solo. A Nebobongo non hanno il siero, i soldi sono bastati appena peracquistare alcuni medicinali, alti ne mancano e si possono trovare adIbambi, ma per il siero, la cosa più importante occorrerà cercarlo a Pawa,45 chilometri o Isiro, 90 chilometri. La giornata è piovosa e la calata delbuio non è lontana. Un viaggio di andata e ritorno non è pensabile.L'infermiereresponsabile ci informa che normalmente Pawa si rifornisce di siero aNebobongo, quindi necessariamente occorre andare ad Isiro. Il telefonostavolta è benedetto, anche se la comunicazione è instabile. Un prete amicodi Isiro tenterà di acquistare la quantità sufficiente cercare una moto taxie di inviarlo il mattino seguente. Appuntamento a Nebobongo alle 8 delmattino dove il bimbo è ricoverato. Nangaa sarà lì ad aspettare la medicina,gli lasciamo moto e carburante. Grazie al siero il bimbo, sette anni emezzo, ha un piccolo miglioramento, fino a domenica tutto bene, ma poi dinuovo un irrigidimento del corpo e. alla fine ci ha lasciato.Molti pensieri. Commozione.Riti antichi, significati attuali e belli. Negligenze igieniche,superficialità e ritardi catastrofici. Povertà economica delle famiglie edeficienze sanitarie croniche.Martedì è stato il giorno del Kilio, del lutto e del seppellimento. E' soloin quel momento che "scopro" che il bimbo morto è il bimbo dell'altrafamiglia con la quale Nangaa e i suoi si sono legati, ma appunto, Nangaal'hasempre chiamato "mio figlio" così come deve essere a partire dallacirconcisione.Gli zii del bimbo morto, che in tutte le famiglie hanno la tutela dellasposa e dei suoi figli, sono in collera con Nangaa, è lui che ha cercato echiamato l'uomo per fare la circoncisione. ha voluto uccidere il bambino?Perché solo uno si è ammalato ed è morto? La legge proibisce di lasciar farela circoncisione a persone non autorizzate. Per evitare ulteriori litigi, epoiché le famiglie continueranno ad essere legate tra loro, Nangaa pacificagli zii donando loro a titolo di risarcimento una capra ed un maiale.
La vita continua.

Da Molto tempo

4 luglio 2007 – Autolettiga?
Subito dopo mangiato, quando non si è in brousse nei villaggi dell’interno, una piccola siesta è decisamente la benvenuta. Oggi qui ad Ibambi dove mi trovo da una settimana in sostituzione di due confratelli che sono rientrati per qualche mese in Europa, l’urgenza di una malata, giovane moglie del catechista di un villaggio a 4/6 chilometri, richiede di andare svelti con la macchina fino a Nebobongo, dodici chilometri delle nostre strade, ma un ospedale più attrezzato e almeno un medico in permanenza potranno forse fare qualcosa. Ci fermiamo al “Centre de Santé” per caricare la malata. La Land Rover non è un’autolettiga, la donna starà seduta sulla ruota di scorta, la testa tra le ginocchia di un’altra donna più anziana che l’accompagna. Attendo qualche istante perché viene caricata anche una sedia a sdraio, posate e pignatte, la lampada a petrolio, qualcosa da mangiare… quando si entra in ospedale non è il pigiama o la vestaglia di cui si ha bisogno, e non si parte mai da soli: i parenti “guarda malato” – come vengono chiamati – sono assolutamente indispensabili. Parlo allora con l’infermiera del “Centre de Santé”, domando di quale “urgenza” si tratti e mi pare di capire che si tratta di una gravidanza extrauterina… qualche rottura interna… il ventre teso… Partiamo, non serve la sirena, niente traffico, come sempre. Non cerco la velocità, all’interno della vettura sarebbe come dentro una barca in mare agitato, e quelli che stanno dietro soprattutto, senza sedili, ne uscirebbero seriamente ammaccati. La donna si lamenta, non piange e non grida ma dietro il mio sedile sento le smorfie di dolore. Per la strada il marito dà voce agli altri parenti che accorrevano da villaggio: l’itinerario è cambiato, non più al “Centre de Santé” d’Isiro ma a Nebo… occorrerà provvedere in fretta il necessario... I bambini come al solito salutano il passaggio della vettura, ma impegnato ad evitare il più possibile le buche oggi ne saluto la metà. Ora la malata non si lamenta più, la donna che la regge la chiama ripetutamente senza ricevere risposta; le grida nelle orecchie. Ci fermiamo per verificare si è ancora viva, non si sente il “polso”, ma nessuno di noi è esperto e vista l’agitazione del momento l’unica cosa da fare è continuare tanto più che non manca oramai molto. Finalmente ci siamo, all’arrivo della vettura qualcuno esce in fretta, mi volto a guardare dietro, la malata, e stavolta la bocca è aperta immobile e gli occhi un po’ spalancati. Non la scarichiamo neanche, sale l’infermiere con lo stetoscopio per confermare quello che già sappiamo… nulla da fare, “patologie come queste dovrebbero essere trattate subito con intervento d’urgenza… mi dispiace”, ci dice. Accorre molta gente, una giovane europea in camice bianco, la vedo per la prima volta ma non è il momento di fare conoscenza, ci stringiamo semplicemente la mano, il marito della malata è in lacrime non riesce più a reggersi…
Mestamente rientriamo, i bambini salutano ancora. Di nuovo i parenti lungo la strada… come tutto cambia in fretta… l’autolettiga adesso è un carro funebre riempito di gente, tutti gli odori confusi, guardo avanti ed ascolto singhiozzi e grida. Sulla strada deviamo lungo un pessimo sentiero per il villaggio del catechista. Il corpo della donna è sistemato su di un letto sotto una tettoia, la “barza”, il luogo di incontro e di accoglienza in mezzo ad un gruppo di abitazioni. Tutto il villaggio accorre, i più prossimi alla defunta si lasciano cadere sulla terra bagnata in un insieme di grida e di pianti, a stento riusciamo a fare un preghiera.
Partecipo al dolore e sfioro la sottile linea che separa vita e morte, e che trasforma un viaggio di salvezza nell’ultimo viaggio. La fede nella vita ulteriore che ci è promessa ci fa stare saldi e sperare che quel ultimo viaggio non è poi l’ultimo.
Ancora, a proposito di viaggi, qualche giorno dopo veniamo a sapere che la famiglia della donna, appartenente alla tribù vicina dei “Bangbweti”, è accorsa in forze per reclamarne il corpo, così da seppellirlo là dove la donna è nata: un viaggio supplementare, stavolta di un corpo senz’anima. Usanza che lascia tutti senza parole, noi così come i locali “Wabudu”. Il perché di queste tradizioni? Talvolta un giudizio immediato di disapprovazione è decisamente affrettato. Qualche tempo dopo vengo a sapere che alcune famiglie di Wabudu non seppelliscono il corpo della donna maritata ed entrata nella propria famiglia fino a quando non è stato pagato un qualche prezzo dalla famiglia di origine soprattutto se la dote non era stata ancora completata… La paura di rompere con qualche tradizione che “tutti obbliga” rimane forte. Giudicare? Non giudicare? Portare la Parola che tutti giudica!

Giugno 2
Comunicazioni

Oggi domenica abbiamo avuto la notizia improvvisa della morte di un direttore di scuola primaria, molto conosciuto per la sua professionalità ed impegno a favore della comunità locale, per la sua fede, per la cordialità … Ricoverato all’ospedale di Pawa è morto venerdì e la salma è oramai nel villaggio di Badedeka, una ventina di chilometri da Babonde. Con un gruppo di giovani partiamo nel primo pomeriggio per salutare la famiglia; ritirano dalla cassa cinque dollari per comperare un drappo da letto, che servirà come drappo funebre. Lungo tutto il percorso sono frastornato dai canti a squarciagola, interrotti solamente all’attraversamento dei piccoli ponti di legno quando tutti sono costretti a scendere per alleggerire il peso e per prudenza in caso di “cadute”.
Arrivati alla casa del defunto – un gruppo di capanne - stranamente non c’è nessuno all’esterno. Solitamente nel tempo del lutto i parenti e tutti coloro che vengono in visita si radunano all’esterno alternando silenzi, canti e danze, preghiere e commenti.
Subito accorrono i fratelli meravigliati, come tutti coloro che abbiamo incontrato lungo la strada, di vedere il veicolo della missione di domenica, senza programma prefissato di visita al villaggio. Immaginano che forse è con la macchina che la salma è trasportata dall’ospedale di Pawa distante una cinquantina di chilometri fino a lì, a Badedeka.
Poche parole per rendersi conto che la notizia è una falsa notizia, il “morto” non è morto. Siamo felici per il lutto soltanto immaginato e per qualche lacrima frettolosamente sparsa. Rimarrà come segno di un’amicizia vera.
Veniamo a sapere che la falsa notizia aveva iniziato a circolare fin da venerdì al mercato di Gatoa, inquietando i parenti che non ne sapevano nulla, fino ad acquistare il peso di realtà questa domenica mattina, divenendo ufficiale. Molti della famiglia e del villaggio sono già in viaggio a piedi ed altri si preparano per partire per la casa natale e per i giorni di lutto. Cerchiamo di rettificare la notizia comunicando scherzosamente, sulla strada del ritorno, a tutti quelli che incontriamo che: “è risorto”.
E’ già la seconda volta, a distanza di qualche settimana, che si verifica un fatto del genere. Appunto una ventina di giorni fa è stata la volta della moglie del catechista di Babonde. Il risvolto pittoresco da una parte e spiacevole dall’altra è che coloro che si sono messi in viaggio da molto lontano, arrivati alla casa del presunto vedovo, dopo una giornata di viaggio si sono dovuti fermare e rifocillare a spese del “povero”. Qualcuno ha avuto il coraggio di fermarsi due giorni, qualche altro tre, qualcuno è ancora lì a stazionare nella casa della “sempreviva” moglie.
Anche qui, come in ogni villaggio sparso per il mondo, c’è una “Radio Babonde” che di bocca in bocca diffonde notizie, vere o false che siano, creando sensazione e novità, argomenti di dibattito e giudizi sommari, pianti e risa. Di domenica non c’è “phonia”, ossia non è in funzione il circuito di radio trasmittenti, che per il momento è il mezzo di comunicazione più veloce ed efficace, anche se con qualche rischio. La comunicazione alla radio trasmittente è “pubblica”, tutti coloro che sono sintonizzati sulla stessa frequenza possono ascoltare ed intervenire. Tutte le parrocchie della diocesi la usano, come anche i commercianti per gli ordinativi delle merci da acquistare, i parenti per comunicare con i figli lontani per gli studi… E’ così che una decina di giorni fa un nostro confratello in viaggio da Kisangani a Opienghe è stato aggredito e derubato dei soldi che portava: il salario degli insegnanti di quella zona. Aveva annunciato alla radio il viaggio e imprudentemente anche il carico “prezioso” che portava con se. Fortunatamente se l’è cavata con poco danno fisico e con molta paura.
Con una certa impazienza aspettiamo che migliorino anche le strade della comunicazione.


Giugno 1
Kinga

Sono passati almeno sei mesi da quando ho conosciuto Maria, una giovane di Nitoni, villaggio chiamato anche Bovotubu Siangwe, a voi scegliere quale nome utilizzare. Non abbiamo scambiato molte parole, ma qualche sguardo. E’ arrivata puntuale per la messa, preceduta dalla confessione. Abita a circa due chilometri e mezzo dalla cappella. Si accomoda sulle panche basse, credo sia la poliomielite a non permettergli di utilizzare gli arti inferiori, oramai da molto tempo. Quando deve spostarsi si appoggia sui pugni o sulle palme delle mani, trascinando piedi e gambe che, sorde, non intendono rispondere ai comandi. Non saprei dargli l’età, un viso sorridente, una grande dignità. Tra me penso a quali devono essere le difficoltà supplementari alle difficoltà di tutti: niente strade, niente mezzi di trasporto, niente acqua corrente in casa, niente doccia, niente gas per la cucina… Nello stesso tempo devo tentare di immaginare a quanta solidarietà gli sta intorno, una solidarietà di tutti i giorni, che gli ha permesso di arrivare qui oggi sorridente, ad accogliere l’Eucaristia. Nella lingua kiswahili non c’è una parola per tradurre solidarietà, si deve usare Umoja-Unità oppure Ushirika-Comunione, possono bastare. Come potrebbe arrivare qui una carrozzina per facilitargli gli spostamenti, un po’ più di movimento? Non sarebbe certamente utile una quelle carrozzine che utilizziamo normalmente nelle nostre case in Europa, su queste strade non avrebbero fortuna. Ma una simile a quelle viste a Kisangani o a Isiro, una di quelle carrozzine d’epoca, come si possono vedere ancora nei corridoi del Cottolengo, Opera della Provvidenza di Padova, dove le mani azionano un pedale. Ma chi può fabbricarle? Un nostro confratello a Kisangani, lui pure paralizzato, ha aperto un centro ed una serie di laboratori. Ma sarà possibile trasportarla fino a qui?
Tutto questo sei mesi fa, appunto. Quello che ho potuto fare si è limitato a sensibilizzare il piccolo gruppo CARITAS, dicendo che “qualcosa si dovrebbe fare”. Tautologia. Il cane si mangia la coda.Ma portare nel cuore le persone, non lasciare cadere il proposito permette alla Provvidenza di aprire strade. Un vecchio (anziano) missionario italiano di ritorno a Wamba dopo la necessaria manutenzione in Italia dei numerosi by pass, mi fa conoscere la sua attività e i numerosi kinga (biciclette) a tre ruote che ha fatto produrre da un piccolo laboratorio di Isiro, finanziati da qualche benefattore. Ed ecco che due kinga a tre ruote sono già pronti. Il camion che quindici giorni fa ci ha portato i sacchi di cemento, i fusti di carburante, le lamiere per il tetto, aveva anche i due kinga nuovi fiammanti. Ora non ci resta che consegnarli a domicilio, con la richiesta di un piccolissimo contributo che avrà lo scopo di aprire una “cassa di solidarietà” per le persone in difficoltà. Con Maria ci siamo intesi già. La famiglia è d’accordo nell’aiutarla ad utilizzare il nuovo mezzo e di averne cura. La comunità di Bovotubu Siangwe è stata concorde nell’accettare una migliore manutenzione del sentiero che dalla sua casa porta al centro del villaggio. Il secondo kinga non rimarrà parcheggiato, ha anche lui un destinatario qui in Babone. Voglio dire un grazie ai sentieri diritti della Provvidenza.

mercoledì, aprile 11, 2007

Buona Pasqua a Bengwa

Bengwa
E’ notte e non sono molte le luci a risplendere stasera nella foresta di Babonde. Probabilmente è per questo che si sono date appuntamento qui da noi centinaia e centinaia di termiti alate in periodo di mutazione. La zanzariera alla porta rende il suo onesto servizio. La pioggia ha scoraggiato gli abitanti del villaggio e soprattutto i pigmei che in questa stagione accendono numerosi piccoli fuochi attorno ai termitieri per catturarle e farne cibo prelibato, da prendere in piccole dosi per non essere troppo turbati a livello di ventre.
Stiamo progressivamente entrando nella stagione delle “piccole” piogge. Abbiamo approfittato dei mesi di gennaio e febbraio per visitare i villaggi più difficili da raggiungere. E siamo giunti a Bengwa, la beniamina fra tutti i villaggi. Benjamin è il termine normalmente utilizzato per dire l’ultimo nato in famiglia, prendendo spunto dall’ultimo figlio tra i dodici del biblico Giacobbe, appunto Beniamino.
Bengwa la si raggiunge solo a piedi, non una strada per l’auto, non un percorso per la moto, ma neppure un bicicletta può arrivarci se non trasportandola a spalla, e allora “il gioco non vale la candela”. Ci sono cinque piccoli torrenti da superare salendo e scendendo le differenti colline per circa dodici chilometri. Talvolta il ruscello stesso è il sentiero, ci si cammina dentro senza grandi difficoltà grazie alla stagione favorevole, ed un paio di stivali è sufficiente. Ci fa da guida il giovane catechista assieme ad altre persone, qualcuno aiuta a portare le piccole valigie con il necessario per la Messa. Due ragazzine portano una sedia ciascuna, prese dal villaggio madre, Bevebendame. Può darsi che in tutta Bengwa non esista una sedia decente? In ogni caso mi è sfuggito di chiarire il piccolo dubbio. Con noi è anche un anziano pigmeo, bene integrato con la popolazione bantu. Ci chiediamo se ce la farà ad arrivare. Interrogativo superfluo, per lui nessun problema. Lungo la pista non ci sono imprevisti. Il pericolo più grosso che incontriamo sono le colonne di formiche rosse, vietato calpestarle, non perché mossi da spirito francescano, ma perché pizzicano terribilmente se riescono ad oltrepassare la soglia dei vestiti. Succede così che a diversi minuti di distanza da quando le si sono superate, quando oramai non le si ricorda nemmeno, una volta risalite le gambe, iniziano a pizzicare, tutte insieme come per accordo e… senza decenza.Sarà la prima volta di una messa a Bengwa, la prima volta per il battesimo dei catecumeni, l’inaugurazione della chiesetta, sarà siku kuu, giorno grande di festa, tra giornate troppo spesso uguali a se stesse nel mezzo della foresta e del lavoro dei campi. Un catechista responsabile, una chiesetta, la scansione delle feste e dei momenti della vita cristiana; un prete che di rado arriverà; ben presto una piccola scuola almeno per le prime classi elementari. Letta così la realtà, sembra dire semplicemente di un’organizzazione diversa della vita che si impianta. Qualcosa che dal di fuori arriva, mette da parte il vecchio e installa il nuovo. Ma non è così. Leggendo più in profondità si intuisce e ci si sente dire apertamente che quello che stiamo compiendo è un passo fatto insieme, cercato insieme per essere più… più uomini, più se stessi mettendo alla luce potenzialità nascoste… più consapevoli di essere amati da Dio, quindi di valere di più, più amabili… e più capaci di amare… più. Il passo che compiamo insieme, con una Eucaristia a Bengwa è ancora molto e molto di più, ma il mistero non si può descrivere, solamente intuire. Tuttavia è già una nuova nascita. Buona Pasqua a Bengwa.

Sulla donna (1) … perché è lunga la storia...

Anche in Congo la festa dell’otto marzo è bene installata, giornata non lavorativa. A Babonde la chefferia organizza una giornata speciale, con discorsi, canti danze e defilè. La chefferia è il luogo amministrativo civile impiantato sulla struttura tradizionale di governo (anche se questa parola è un po’ grossa). La chefferia sta sopra il capo di località o villaggio – Babonde è una località – e sta sopra il capo di raggruppamento di un insieme di località. La nostra chefferia è la chefferia di Likasi della tribù dei Balika Katoriko. Sono i capi della famiglia regnante che eleggono il grande chef, riconosciuto dal governo centrale congolese e punto di riferimento locale per numerosissime questioni. Ovviamente fino ad oggi non c’è traccia di chef che siano state donne, ma non è questo il punto. Nel nuovo parlamento nazionale, recentemente installato vi è una piccola presenza di donne elette, segno che nelle città il clima culturale è cambiato, ma nei villaggi sarà raro trovare anche solo una direttrice di scuola, una infermiere titolare, una catechista.
Il disagio maggiore per me è quando mangiamo nelle piccole capanne di qualcuno del posto, a tavola sono rigorosamente i soli uomini. Le donne preparano il cibo, offrono l’acqua per lavarsi le mani, riempiono i bicchieri e… attendono in piedi, pronte a reagire se manca qualcosa, ma non siedono insieme. Il disagio comunque è solo mio per diversi motivi, poiché tavolo e sedie sono state recuperate per l’occasione dell’ospite, perché normalmente per il pasto familiare un solo grande recipiente serve l’acqua per tutta la famiglia, perché non ci sono piatti ma grandi foglie che hanno il pregio di non dover essere in seguito lavate e le mani costituiscono le primordiali postate. Perché infine, a tavola si mangia e non si parla e finito il proprio turno si lascia il posto agli altri numerosi che vengono dopo. Ecco che è del tutto eccezionale il “sedersi a tavola”. Altre volte sono stato tentato di definire la donna “mezzo di trasporto”. Lungo le rosse strade non vedremo mai una donna camminare senza un qualche peso addosso, legato dietro le spalle o portato sulla testa o ancora a patire dalla fronte con una corda, sospeso dietro la schiena… o tutto insieme. E’ infatti la donna con i suoi bambini che procura la legna per la cucina di ogni giorno, l’acqua da bere, il cibo per il mangiare. Non ho fatto l’esperienza, ma taniche di 20 litri d’acqua trasportati per qualche chilometro non sono uno scherzo, come un cesto di patate di manioca, talvolta nel mentre che si allatta un bambino al seno… qui davvero non posso fare l’esperienza… oppure una bracciata di legna non ancora seccata. Il clima “malarico” non permette la sopravvivenza di asini e forse la tentazione di assaggiare una carne “esotica” sarebbe troppo forte. La morfologia collinosa del terreno e l’inesistenza di carretti mi ha portato spesso ad associare le donne a robusti mezzi di trasporto. Per “par condicio” dovrò aggiungere che è dei maschi il lavoro del kumba kumba, il trasportatore di mercanzia in bicicletta, con viaggi di settimane, centinaia di chilometri e mediamente un centinaio di chili aggrappati sul portapacchi modificato.

venerdì, marzo 02, 2007

Donna



E’ ancora troppo presto per fare una riflessione sulla donna e la sua condizione a Babonde, per cercare di descriverne qualche aspetto di vita per intuire cosa anima il suo cuore.
In attesa di tempi maturi, di fronte alla evidente, apparente o supposta condizione di inferiorità, rileggo un antico testo, tratto dal Talmud, a commento del racconto biblico sulla creazione dell’umanità.
“… state molto attenti a far piangere una donna,
Dio poi conta le sue lacrime.
La donna è uscita dalla costola dell’uomo,
non dai piedi perché dovesse essere pestata,
né dalla testa per essergli superiore,
ma dal fianco per essere uguale…
Un po’ più in basso del braccio per essere protettaE dal lato del cuore per essere amata…”

domenica, febbraio 11, 2007

I PICCOLI


29 gennaio 2007
Siamo a Bovoboli, pochi chilometri da Babonde, facilmente raggiungibile ed è una giornata particolare poiché oggi è la festa dei Pigmei. Sono i piccoli abitanti della foresta. Per molti studiosi sono essi i veri originari dell’Africa, autoctoni, con una propria lingua, tradizioni e stile di vita tutti particolari. La data della festa di oggi è a ricordo di una storica “marcia dei diritti dei pigmei” realizzata ad Isiro un paio d’anni fa. Perché una marcia dei diritti?. Facendo un paragone un po’ azzardato si potrebbe dire che come l’Africa è stata colonizzata dagli Arabi e dagli Europei, i pigmei sono stati colonizzati dai Bantu. Ma poiché nessuno è senza peccato originale, i pigmei hanno colonizzato chi? … Domanda senza risposta.
Si! Colonizzati e talvolta schiavizzati. E’ frequente assistere anche oggi allo sfruttamento dei pigmei da parte dei Bantu, la popolazione nera maggioritaria in Africa, al fine di coltivare i loro campi o come abili guide nella caccia. Il loro duro lavoro stagionale è pagato con qualche bottiglia di bevanda alcolica o di fumo. I pigmei non sono agricoltori, non possono attendere il raccolto che avviene sempre “troppi mesi” dopo la semina, sono nomadi e seguono le stagioni della caccia, la stagione secca e quella delle piogge, anche l’organizzazione scolastica che la comunità cristiana organizza per loro è ritmata su un calendario particolare. In tempi passati, ma non troppo lontani erano considerati buona selvaggina. Nella zona abitata dai Bantu – Lika, la nostra zona, i pigmei sono molto numerosi. Nella zona vicina dei Bantu – Budu, non sono affatto numerosi e qualcuno suggerisce perché la più parte sono stati mangiati o costretti a fuggire. Per contro i pigmei, fedeli alla loro tradizione di cacciatori e raccoglitori dei prodotti della foresta, si ripagano con il furto, piuttosto frequente, nei campi coltivati dai Bantu, e questo senza alcun senso di colpa. Prendono con tutta naturalezza quello che a loro serve e che la terra dona agli uomini. Ed effettivamente il loro furto e sempre per il bisogno quotidiano, non potrebbero accumulare nulla nelle loro piccole capanne, anch’esse stagionali, costruite con sottili rami e grandi foglie, dove ci si entra chinati praticamente solo per dormire ed in caso di pioggia. Capita che in occasione di qualche festa e in mancanza di selvaggina anche un grosso maiale può farne le spese. Ecco che il proprietario mi informa di aver trovato i responsabili tra i pigmei e che ora cercherà di farli giudicare da un uomo “normale”, anche se sa che non ci ricaverà nulla soprattutto perché soni i capi villaggio i maggiori responsabili dello sfruttamento dei pigmei e probabilmente come ammenda il colpevole del furto dovrà fare qualche settimana di lavoro nel campo del capo villaggio.
Si comprende che non corre troppo “buon sangue”, ma occorre dire che pregiudizi e stereotipi la fanno da padrone. Qualcuno si meraviglia che possano apprendere la lingua Swahili, iniziare a vestirsi con decenza, che possano fermarsi per qualche settimana o mese sui “banchi” di scuola, essere battezzati, divenire cristiani. Per molti essi rimangono “meno uomini” Eppure qualcuno fra essi sta per ottenere il diploma di scuola superiore, qualche coppia domanda il matrimonio cristiano e fra di essi nella nostra parrocchia, unico in tutta la diocesi, vi è anche un catechista pigmeo. Contrariamente all’abitudine circostante essi rimangono fedeli nella coppia che si sposa. Normalmente una ragazza presa in moglie da un accampamento vicino, sarà compensata con il passaggio di un’altra ragazza data in moglie, per una sorta di equilibrio di forze. Nella difficoltà di vita della foresta la condivisione è la loro risorsa. Una caramella donata viene divisa in tanti piccoli pezzi quanti sono i bimbi e gli adulti in modo che ciascuno abbia ad assaggiarne. Sono piccoli, è vero, ma possono essere “meno uomini”?

giovedì, gennaio 18, 2007

mercoledì, gennaio 17, 2007

Attendi, attendi...

13 Gennaio 2007
Siamo in piena stagione secca - tre mesi senza pioggia salvo una puntuale innaffiata una sola volta un solo giorno a scelta intorno a Natale - niente caldo insopportabile, anzi. Una buona escursione termica fa sentire che è quasi "freddo": raffreddori per bimbi e anziani e per tutti molta polvere. Altra cosa da aggiungere è la progressiva scarsità di acqua alle differenti sorgenti. Solo qualcuna continuerà a donare buona acqua. Siamo comunque in foresta, l’umidità non manca mai. Altra attenzione da avere è il fuoco di chi prepara i campi per la prossima semina e brucia erbe e sterpaglie, poiché talvolta diventa pericoloso quando se ne perde il controllo.
Sto diventando un buon conoscitore delle strade della nostra zona, oggi pomeriggio servizio ambulanza per una giovane donna che non riusciva più a reggersi - nè ad essere retta - per arrivare in moto all'ospedale. Ho qualche rimpianto per la cara piccola Fiat Panda... soprattutto per quanto riguarda la differenza dei costi di manutenzione rispetto alle vetture locali.
Per quanto riguarda la situazione politica tutto procede con regolarità, ossia dopo l'elezione del presidente e del parlamento prossimamente si insedierà il primo ministro e il governo... Non ci sono segnali di tensione, solo una certa inclinazione a considerare il presidente alla vecchia maniere, come fosse un "presidente assoluto". Il gioco democratico è ben scritto nelle regole ma non ancora pienamente assorbito dalla popolazione. Se non ci saranno sorprese preparate dal di fuori (l'avversario -Bemba - dell'attuale presidente - Kabila - è ora a Bruxelles...) tutto lascia presagire un futuro pacifico. Anche la frontiera dell'Est, nell'Ituri, si sta normalizzando, rimane il problema dell'inserimento nella vita civile degli ex "ribelli" o soldati delle differenti fazioni e dei molti "bimbi soldato", cresciuti con il fucile in mano. Essere soldato, per la popolazione civile significa essere "predone", dal quale stare bene al largo. Altro problema sarà il clientelarismo e la corruzione di coloro che siederanno al potere. Nel discorso di insediamento il presidente Kabila ha detto “la ricreazione è finita” riferendosi anche a questi problemi ben radicati in tutta l’Africa. Questa frase “la ricreazione è finita” sta diventando il ritornello di tutti coloro che desiderano esibire buona volontà. Sarà il tempo a donare il suo giudizo, ma sarebbe un peccato perdere ancora un’occasione.
“Ngoya, ngoya, ilikosesha sokomutu mkia”. Attendi, attendi, il gorilla ha perduto la coda.
Tra i molti animali della foresta il gorilla ha sempre impressionato la popolazione pigmea, essendo l’unico senza coda (dopo l’uomo naturalmente). Ecco che una storia racconta dell’appuntamento che il Creatore aveva dato a tutti gli animali per ricevere ciascuno la propria coda. Unico, il gorilla, si è attardato in altre faccende, così da rimanerne senza.
Non avendo foto del Gorilla, accontentiamoci di una semplice scimmietta, catturata per essere addomesticata e venduta, se riuscirà a sopravvivere.

1 dicembre 2006
Bernardo il 3 novembre, in solitaria. Ermanno, a Banalia, il 25 novembre, accompagnato da Jean, Joseph, Enrico, Gherardo, Giuliano, Ireneo, Francesco, Martino, Aloisio e Giuseppe, stavolta a Kisangani lo stesso giorno. Appena il giorno seguente, siamo a Wamba, e sono Giuseppe Wittebols, Cristiano, Carlo, Clemente, Leone, Jerom, Giacomo e Giuseppe. Ancora un giorno, a sessanta chilometri di distanza in una località dal nome difficile da pronunciare, a Bafwasende, è la volta di Pietro, Enrico, Giovanni, Guglielmo, Arnoldo, Aloisio ed un altro Guglielmo. Sono 27, siamo nell’anno 1964, in Congo, siamo nell’altro secolo, quello passato, ma che non sento poi così lontano. Sono i nostri confratelli missionari uccisi in una manciata di giorni durante il tempo terribile di una “rivoluzione”, una di quelle rivoluzioni ben conosciute nel Congo, capaci di promettere “liberazione” e “salvezza” immediata, ma che nel presente riescono solo a far scorrere abbondante sangue e nel tempo a venire saranno capaci si spendere parole ed alimentare sogni mai realizzati.
Sono stati uccisi perché stranieri, perché capaci di comprendere ciò che si stava realizzando e quindi “pericolosi”, perché preti e pastori, per politica, per odio, per ignoranza.
Sono stati accompagnati da moltissimi altri a noi sconosciuti e da una ragazza di 24 anni, da pochi anni suora che per fedeltà alla sua consacrazione a Dio ha resistito e rifiutato di cadere nelle mani e cedere alle voglie di un comandante che voleva prenderla con la forza, Anualite. Sorte triste e gloriosa, giorni oscuri di violenza e di morte, giorni luminosi di testimonianza e di amore nelle offese, di perdono nella persecuzione.
Per lei era il primo dicembre ed è appunto oggi che tutta la nazione del Congo la ricorda ad Isiro, nella città in cui è rimasta alcune ore, il tempo di morire.
Anch’io sono qui perché qui si sono dati appuntamento i cristiani, dopo essere passati per Wamba e per Bafwabaka, nei luoghi in cui è nata e cresciuta, dove ha conosciuto ed amato Cristo nella fede, dove ha servito con semplicità e amore i fratelli, dove lei si è “messa a parte” per essere di Dio. E’ la prima “beata”, si dice così, tra i credenti del Congo, della quale di fa memoria, per non dimenticare, presa ad esempio per sostenere il cammino di molti altri ed altre.