mercoledì, aprile 11, 2007

Sulla donna (1) … perché è lunga la storia...

Anche in Congo la festa dell’otto marzo è bene installata, giornata non lavorativa. A Babonde la chefferia organizza una giornata speciale, con discorsi, canti danze e defilè. La chefferia è il luogo amministrativo civile impiantato sulla struttura tradizionale di governo (anche se questa parola è un po’ grossa). La chefferia sta sopra il capo di località o villaggio – Babonde è una località – e sta sopra il capo di raggruppamento di un insieme di località. La nostra chefferia è la chefferia di Likasi della tribù dei Balika Katoriko. Sono i capi della famiglia regnante che eleggono il grande chef, riconosciuto dal governo centrale congolese e punto di riferimento locale per numerosissime questioni. Ovviamente fino ad oggi non c’è traccia di chef che siano state donne, ma non è questo il punto. Nel nuovo parlamento nazionale, recentemente installato vi è una piccola presenza di donne elette, segno che nelle città il clima culturale è cambiato, ma nei villaggi sarà raro trovare anche solo una direttrice di scuola, una infermiere titolare, una catechista.
Il disagio maggiore per me è quando mangiamo nelle piccole capanne di qualcuno del posto, a tavola sono rigorosamente i soli uomini. Le donne preparano il cibo, offrono l’acqua per lavarsi le mani, riempiono i bicchieri e… attendono in piedi, pronte a reagire se manca qualcosa, ma non siedono insieme. Il disagio comunque è solo mio per diversi motivi, poiché tavolo e sedie sono state recuperate per l’occasione dell’ospite, perché normalmente per il pasto familiare un solo grande recipiente serve l’acqua per tutta la famiglia, perché non ci sono piatti ma grandi foglie che hanno il pregio di non dover essere in seguito lavate e le mani costituiscono le primordiali postate. Perché infine, a tavola si mangia e non si parla e finito il proprio turno si lascia il posto agli altri numerosi che vengono dopo. Ecco che è del tutto eccezionale il “sedersi a tavola”. Altre volte sono stato tentato di definire la donna “mezzo di trasporto”. Lungo le rosse strade non vedremo mai una donna camminare senza un qualche peso addosso, legato dietro le spalle o portato sulla testa o ancora a patire dalla fronte con una corda, sospeso dietro la schiena… o tutto insieme. E’ infatti la donna con i suoi bambini che procura la legna per la cucina di ogni giorno, l’acqua da bere, il cibo per il mangiare. Non ho fatto l’esperienza, ma taniche di 20 litri d’acqua trasportati per qualche chilometro non sono uno scherzo, come un cesto di patate di manioca, talvolta nel mentre che si allatta un bambino al seno… qui davvero non posso fare l’esperienza… oppure una bracciata di legna non ancora seccata. Il clima “malarico” non permette la sopravvivenza di asini e forse la tentazione di assaggiare una carne “esotica” sarebbe troppo forte. La morfologia collinosa del terreno e l’inesistenza di carretti mi ha portato spesso ad associare le donne a robusti mezzi di trasporto. Per “par condicio” dovrò aggiungere che è dei maschi il lavoro del kumba kumba, il trasportatore di mercanzia in bicicletta, con viaggi di settimane, centinaia di chilometri e mediamente un centinaio di chili aggrappati sul portapacchi modificato.