lunedì, marzo 09, 2009

A Babonde!





Da venerdì 6 marzo siamo a Babonde, un viaggio un po’ articolato, Bologna, Bruxelles, Kinshasa. Qualche giorno per effettuare la trasposizione del visto sul nuovo passaporto e partenza per Kisangani, un giorno per fare qualche spesa e ripartenza il martedì 3 marzo. Io sono sulla nuova Land Rover ed un altro confratello con un nuovo camion. Le nostre due comunità sono vicine, Babonde ed Ibambi, e tutte e due approfittano di un finanziamento che arriva da una generosa parrocchia del Lussemburgo, sono molti gli amici delle missioni. La strada è quella dell’Ituri, quella che porta ad Est. La nostra vettura era a Kisangani da giugno scorso, ma non riuscivamo a portarla a casa. Nessun aereo con trasporto merci sufficientemente grande sulla tratta Kisangani-Isiro. Via terra settanta kilometri impraticabili tra Bafasende e Niania. Qualche mese di attesa (nove per la precisione, la pazienza in Africa spesso la fa da padrona) ed un grande grazie ai cinesi ed ai loro contratti che prevedono la costruzione di infrastrutture in cambio di sfruttamento delle risorse minerarie, ci permettono di essere a Niania lo stesso martedì pomeriggio. A mezza mattinata abbiamo avuto anche il tempo di fare una sosta a Batama al 162mo chilometro. Il villaggio di Batama, vecchia conoscenza quando, ancora seminarista a Bologna, con il gruppo scouts della Ponticella facemmo lì un campo estivo nell’intento di rimettere in piedi una missione abbandonata dal tempo della ribellione dei Simba. Passiamo il grande fiume Lindi e sostiamo a Bafasende per mangiare qualcuno dei suoi pesci e salutare l’abbè Raimond. Siamo a Niania alle 14.00; alla parrocchia raccogliamo due aspiranti catechisti che provengono da Mambasa e sono diretti al centro pastorale di Wamba per un primo corso di formazione lungo un intero mese, che li prepara al servizio pastorale che dovranno svolgere nel loro villaggio. E’ il primo pomeriggio e si tratta di affrontare la strada difficile di Bingò, altri settanta chilometri nella foresta e nel fango, impossibili nella stagione delle piogge, ma è adesso la stagione secca, è adesso il momento di provare a passare. Quattro chilometri ed il camion che ci precede, alla terza buca, letteralmente si rovescia sul fianco.
Fosse stato un uomo si sarebbe detto “gambe all’aria”. Grazie a Dio nessuno nella cabina si è ferito, solamente una botta ad un braccio del confratello che stava dalla parte dell’impatto e per fortuna che non aveva accettato di trasportare nessuno sul cassone come invece abitualmente si fa. Lavoriamo fino al buio per scaricare carburante e pacchi e tentare di risollevare il mezzo senza riuscirci. Rientriamo a Niania per passare la notte e per cercare un “tira fuori” ossia cricco e cavo d’acciaio che ci permetterà il mattino dopo di rimettere in piedi camion. E’ mercoledì e alle 9 e mezza abbiamo già ricaricato, pronti a ripartire. Nel frattempo osservo i tantissimi Kumba Kumba che ci oltrepassano, i trasportatori di merci in bicicletta carichi di tutto, olio in sacchi di plastica, maili, capre, farina e riso, bidoni e ciabatte. Sono stupefatto ancora una volta dai trasportatori di merci a piedi, uno di questi è riuscito a caricarsi sulla schiena ben sei casse di birra, ciascuna di dodici bottiglie. Riprendiamo il viaggio, ma sono sufficienti trenta minuti di strada ed una nuova profonda buca per arrestare di nuovo il camion, stavolta impantanato. Ora il lavoro è questione di pala, secchi e tronchi di legno, ma sarà un autista di passaggio a soccorrere il nostro chauffer, decisamente poco esperto di quella strada. A questo punto ci separiamo, con la Land Rover continuiamo, il camion ritorna indietro, sceglierà un’altra strada in un tempo più favorevole. Trazione integrale, marce ridotte, il nostro mezzo risponde bene e supera gli ostacoli, prima del buio siamo al chilometro 51 da Wamba. Passiamo la notte a Bafwabangwe, un grosso villaggio in prossimità di una miniera d’oro, accolti dalla comunità cristiana e dalla moglie del catechista che ci prepara riso e pesce salato. Un secchio d’acqua a ciascuno dei viaggiatori per una meritata doccia. La notte nelle capanne che ogni villaggio ha, accanto alla chiesa, per accogliere gli ospiti. Mi chiedono di celebrare la messa alle sei e mezza del giorno dopo, a me dispiace deludere la loro attesa ma alle sei in punto siamo di nuovo in viaggio, ed abbastanza in fretta usciamo dal fango di Bingò, per strada superiamo una camionetta stracarica di merci, in viaggio da quattro giorni sul nostro stesso percorso, ed incontriamo un camion in direzione opposta il cui autista sta studiando il modo di arrangiare la strada per superare un passaggio al momento impossibile per lui: non conterà le settimane che gli ci vorranno. Incontriamo anche molti resti di fuochi notturni, segno del pernottamento di tanti che hanno dovuto lottare per aprirsi il passaggio: ringraziamo tutti quelli che hanno lavorato prima del nostro viaggio e noi gratuitamente approfittiamo. Sostiamo a Bayenga ed infine a Wamba per un doveroso saluto al Vescovo dopo i tre mesi di vacanza. Nel pomeriggio è una buca profonda scavata dall’erosione dell’acqua a bloccarci il cammino. Un’ora di sforzi e qualche vescica alle mani che non sono abituate a lavorare di pala e machette, non riescono però a liberarci. Sarà l’aiuto di una corda e di una camionetta di passaggio a rimetterci finalmente sul buon percorso. Un’altra notte in brousse, stavolta nel villaggio di Mandele, tra gli Yogoo, tribù di lingua lingala. Per la cena ci aiuta stavolta un po’ di pane della carne in scatola. I ragazzi danzano nella notte di luna, per far festa agli ospiti e alcuni uomini si raccolgono sotto la barza. Ora è venerdì, ed è solare questo giorno animato fin dalle quattro del mattino da voci e da luci di torce, sono la persone del villaggio alla ricerca delle termiti nella stagione della migrazione, cibo ricercato. Una settimana intera senza pioggia ha senz’altro benedetto il viaggio, prima di pranzo siamo già a Babonde. E’ il primo venerdì del mese e gli oltre cento catechisti sono radunati per il programma del mese, dico loro: “nimekula sombe ya mama yangu”, “ho mangiato il cibo della mia mamma”, per giustificare le mie nuove forme decisamente più rotonde. La domanda di tutti è “i parenti stanno bene?”, “il viaggio è stato buono?”. Altri sono contenti per la macchina nuova, sanno che è anche per loro. Altri ancora sono finalmente convinti che la mia era veramente una ‘vacanza’ e non una partenza definitiva, come spesso talvolta è accaduto per qualche altro missionario che non ha avuto possibilità di rivenire almeno per salutare. Poi è il turno o l’assalto dei bambini che qualche insegnate ha sguinzagliato sulle mie tracce. Stringere la mano a tutti è d’obbligo, ma mi sottometto volentieri a questo dovere, la comunione dello spirito non è possibile senza una comunione dei corpi, per ascoltare occorre esserci, per parlare occorre esserci, per lavorare insieme occorre esserci.Compagni di viaggio.