mercoledì, ottobre 24, 2007

posta


Ciao, alcuni problemi con la casella postale inattiva da tempo mi hanno fatto perdere tutta la vostra corrispondenza degli ultimi mesi ossia dal mese di giungo, mi dispiace tantissimo, avevo bisogno di “sentirvi” o leggervi. Coloro che mi avessero scritto e che non hanno avuto risposta possono tentare di inviare nuovamente allo stesso indirizzo: renzo.busana@dehoniani.itCiao Ciao.

La vita continua

Il « figlio » di Nangaa
E' giovedì, Nangaa oggi è preoccupato, suo figlio è malato, da ieri, ha ilcollo che progressivamente di irrigidisce. Chiede un aiuto per pagare lapiccola spesa della consultazione. Verso la fine della mattinata larisposta, si tratta di tetano. Alcuni giorni prima suo figlio è statocirconciso. E' il Kombi: due famiglie che decidono di stringere un legame diamicizia e di fraternità attraverso la circoncisione dei rispettivi figlimaschi. Il sangue dei due bimbi viene mescolato, è un patto che acquista ilpeso e l'importanza della familiarità. I membri delle rispettive famigliecosì come i nipoti non potranno sposarsi tra loro. In caso di bisogno siporteranno soccorso. E' una grande festa.In questi ultimi tempi si fa normalmente ricorso ad un infermiere che,direttamente nel centro di "santè" o trasferendosi personalmente presso lafamiglia ove si svolge la cerimonia, compie il piccolo intervento.Nel caso di Nangaa, lui ha scelto un ragazzo di sala, non un infermiere,quindi senza esperienza e con chissà quali strumenti. Ora il pasticcio ècombinato e si rivela enormemente grave.Sono già passati diversi giorni. Non c'è il siero a Babonde, occorre andarea Nebobongo, 35 chilometri di strade di "brousse". Celestin, il nostromeccanico ed autista prende la moto, carica la mamma ed il bambino. un po'di soldi per il siero. è un farmaco vitale, penso, non costerà molto. Nellafamiglia di Nangaa, come nel novantacinque per cento delle famiglie,affrontare una emergenza sanitaria è un rebus da risolvere sul momento.Alcun risparmio in casa, nessuna cura gratuita. Molto spesso coloro chegiungono all'ospedale vi giungono troppo tardi. Dopo un paio d'ore Celestintorna, solo. A Nebobongo non hanno il siero, i soldi sono bastati appena peracquistare alcuni medicinali, alti ne mancano e si possono trovare adIbambi, ma per il siero, la cosa più importante occorrerà cercarlo a Pawa,45 chilometri o Isiro, 90 chilometri. La giornata è piovosa e la calata delbuio non è lontana. Un viaggio di andata e ritorno non è pensabile.L'infermiereresponsabile ci informa che normalmente Pawa si rifornisce di siero aNebobongo, quindi necessariamente occorre andare ad Isiro. Il telefonostavolta è benedetto, anche se la comunicazione è instabile. Un prete amicodi Isiro tenterà di acquistare la quantità sufficiente cercare una moto taxie di inviarlo il mattino seguente. Appuntamento a Nebobongo alle 8 delmattino dove il bimbo è ricoverato. Nangaa sarà lì ad aspettare la medicina,gli lasciamo moto e carburante. Grazie al siero il bimbo, sette anni emezzo, ha un piccolo miglioramento, fino a domenica tutto bene, ma poi dinuovo un irrigidimento del corpo e. alla fine ci ha lasciato.Molti pensieri. Commozione.Riti antichi, significati attuali e belli. Negligenze igieniche,superficialità e ritardi catastrofici. Povertà economica delle famiglie edeficienze sanitarie croniche.Martedì è stato il giorno del Kilio, del lutto e del seppellimento. E' soloin quel momento che "scopro" che il bimbo morto è il bimbo dell'altrafamiglia con la quale Nangaa e i suoi si sono legati, ma appunto, Nangaal'hasempre chiamato "mio figlio" così come deve essere a partire dallacirconcisione.Gli zii del bimbo morto, che in tutte le famiglie hanno la tutela dellasposa e dei suoi figli, sono in collera con Nangaa, è lui che ha cercato echiamato l'uomo per fare la circoncisione. ha voluto uccidere il bambino?Perché solo uno si è ammalato ed è morto? La legge proibisce di lasciar farela circoncisione a persone non autorizzate. Per evitare ulteriori litigi, epoiché le famiglie continueranno ad essere legate tra loro, Nangaa pacificagli zii donando loro a titolo di risarcimento una capra ed un maiale.
La vita continua.

Da Molto tempo

4 luglio 2007 – Autolettiga?
Subito dopo mangiato, quando non si è in brousse nei villaggi dell’interno, una piccola siesta è decisamente la benvenuta. Oggi qui ad Ibambi dove mi trovo da una settimana in sostituzione di due confratelli che sono rientrati per qualche mese in Europa, l’urgenza di una malata, giovane moglie del catechista di un villaggio a 4/6 chilometri, richiede di andare svelti con la macchina fino a Nebobongo, dodici chilometri delle nostre strade, ma un ospedale più attrezzato e almeno un medico in permanenza potranno forse fare qualcosa. Ci fermiamo al “Centre de Santé” per caricare la malata. La Land Rover non è un’autolettiga, la donna starà seduta sulla ruota di scorta, la testa tra le ginocchia di un’altra donna più anziana che l’accompagna. Attendo qualche istante perché viene caricata anche una sedia a sdraio, posate e pignatte, la lampada a petrolio, qualcosa da mangiare… quando si entra in ospedale non è il pigiama o la vestaglia di cui si ha bisogno, e non si parte mai da soli: i parenti “guarda malato” – come vengono chiamati – sono assolutamente indispensabili. Parlo allora con l’infermiera del “Centre de Santé”, domando di quale “urgenza” si tratti e mi pare di capire che si tratta di una gravidanza extrauterina… qualche rottura interna… il ventre teso… Partiamo, non serve la sirena, niente traffico, come sempre. Non cerco la velocità, all’interno della vettura sarebbe come dentro una barca in mare agitato, e quelli che stanno dietro soprattutto, senza sedili, ne uscirebbero seriamente ammaccati. La donna si lamenta, non piange e non grida ma dietro il mio sedile sento le smorfie di dolore. Per la strada il marito dà voce agli altri parenti che accorrevano da villaggio: l’itinerario è cambiato, non più al “Centre de Santé” d’Isiro ma a Nebo… occorrerà provvedere in fretta il necessario... I bambini come al solito salutano il passaggio della vettura, ma impegnato ad evitare il più possibile le buche oggi ne saluto la metà. Ora la malata non si lamenta più, la donna che la regge la chiama ripetutamente senza ricevere risposta; le grida nelle orecchie. Ci fermiamo per verificare si è ancora viva, non si sente il “polso”, ma nessuno di noi è esperto e vista l’agitazione del momento l’unica cosa da fare è continuare tanto più che non manca oramai molto. Finalmente ci siamo, all’arrivo della vettura qualcuno esce in fretta, mi volto a guardare dietro, la malata, e stavolta la bocca è aperta immobile e gli occhi un po’ spalancati. Non la scarichiamo neanche, sale l’infermiere con lo stetoscopio per confermare quello che già sappiamo… nulla da fare, “patologie come queste dovrebbero essere trattate subito con intervento d’urgenza… mi dispiace”, ci dice. Accorre molta gente, una giovane europea in camice bianco, la vedo per la prima volta ma non è il momento di fare conoscenza, ci stringiamo semplicemente la mano, il marito della malata è in lacrime non riesce più a reggersi…
Mestamente rientriamo, i bambini salutano ancora. Di nuovo i parenti lungo la strada… come tutto cambia in fretta… l’autolettiga adesso è un carro funebre riempito di gente, tutti gli odori confusi, guardo avanti ed ascolto singhiozzi e grida. Sulla strada deviamo lungo un pessimo sentiero per il villaggio del catechista. Il corpo della donna è sistemato su di un letto sotto una tettoia, la “barza”, il luogo di incontro e di accoglienza in mezzo ad un gruppo di abitazioni. Tutto il villaggio accorre, i più prossimi alla defunta si lasciano cadere sulla terra bagnata in un insieme di grida e di pianti, a stento riusciamo a fare un preghiera.
Partecipo al dolore e sfioro la sottile linea che separa vita e morte, e che trasforma un viaggio di salvezza nell’ultimo viaggio. La fede nella vita ulteriore che ci è promessa ci fa stare saldi e sperare che quel ultimo viaggio non è poi l’ultimo.
Ancora, a proposito di viaggi, qualche giorno dopo veniamo a sapere che la famiglia della donna, appartenente alla tribù vicina dei “Bangbweti”, è accorsa in forze per reclamarne il corpo, così da seppellirlo là dove la donna è nata: un viaggio supplementare, stavolta di un corpo senz’anima. Usanza che lascia tutti senza parole, noi così come i locali “Wabudu”. Il perché di queste tradizioni? Talvolta un giudizio immediato di disapprovazione è decisamente affrettato. Qualche tempo dopo vengo a sapere che alcune famiglie di Wabudu non seppelliscono il corpo della donna maritata ed entrata nella propria famiglia fino a quando non è stato pagato un qualche prezzo dalla famiglia di origine soprattutto se la dote non era stata ancora completata… La paura di rompere con qualche tradizione che “tutti obbliga” rimane forte. Giudicare? Non giudicare? Portare la Parola che tutti giudica!

Giugno 2
Comunicazioni

Oggi domenica abbiamo avuto la notizia improvvisa della morte di un direttore di scuola primaria, molto conosciuto per la sua professionalità ed impegno a favore della comunità locale, per la sua fede, per la cordialità … Ricoverato all’ospedale di Pawa è morto venerdì e la salma è oramai nel villaggio di Badedeka, una ventina di chilometri da Babonde. Con un gruppo di giovani partiamo nel primo pomeriggio per salutare la famiglia; ritirano dalla cassa cinque dollari per comperare un drappo da letto, che servirà come drappo funebre. Lungo tutto il percorso sono frastornato dai canti a squarciagola, interrotti solamente all’attraversamento dei piccoli ponti di legno quando tutti sono costretti a scendere per alleggerire il peso e per prudenza in caso di “cadute”.
Arrivati alla casa del defunto – un gruppo di capanne - stranamente non c’è nessuno all’esterno. Solitamente nel tempo del lutto i parenti e tutti coloro che vengono in visita si radunano all’esterno alternando silenzi, canti e danze, preghiere e commenti.
Subito accorrono i fratelli meravigliati, come tutti coloro che abbiamo incontrato lungo la strada, di vedere il veicolo della missione di domenica, senza programma prefissato di visita al villaggio. Immaginano che forse è con la macchina che la salma è trasportata dall’ospedale di Pawa distante una cinquantina di chilometri fino a lì, a Badedeka.
Poche parole per rendersi conto che la notizia è una falsa notizia, il “morto” non è morto. Siamo felici per il lutto soltanto immaginato e per qualche lacrima frettolosamente sparsa. Rimarrà come segno di un’amicizia vera.
Veniamo a sapere che la falsa notizia aveva iniziato a circolare fin da venerdì al mercato di Gatoa, inquietando i parenti che non ne sapevano nulla, fino ad acquistare il peso di realtà questa domenica mattina, divenendo ufficiale. Molti della famiglia e del villaggio sono già in viaggio a piedi ed altri si preparano per partire per la casa natale e per i giorni di lutto. Cerchiamo di rettificare la notizia comunicando scherzosamente, sulla strada del ritorno, a tutti quelli che incontriamo che: “è risorto”.
E’ già la seconda volta, a distanza di qualche settimana, che si verifica un fatto del genere. Appunto una ventina di giorni fa è stata la volta della moglie del catechista di Babonde. Il risvolto pittoresco da una parte e spiacevole dall’altra è che coloro che si sono messi in viaggio da molto lontano, arrivati alla casa del presunto vedovo, dopo una giornata di viaggio si sono dovuti fermare e rifocillare a spese del “povero”. Qualcuno ha avuto il coraggio di fermarsi due giorni, qualche altro tre, qualcuno è ancora lì a stazionare nella casa della “sempreviva” moglie.
Anche qui, come in ogni villaggio sparso per il mondo, c’è una “Radio Babonde” che di bocca in bocca diffonde notizie, vere o false che siano, creando sensazione e novità, argomenti di dibattito e giudizi sommari, pianti e risa. Di domenica non c’è “phonia”, ossia non è in funzione il circuito di radio trasmittenti, che per il momento è il mezzo di comunicazione più veloce ed efficace, anche se con qualche rischio. La comunicazione alla radio trasmittente è “pubblica”, tutti coloro che sono sintonizzati sulla stessa frequenza possono ascoltare ed intervenire. Tutte le parrocchie della diocesi la usano, come anche i commercianti per gli ordinativi delle merci da acquistare, i parenti per comunicare con i figli lontani per gli studi… E’ così che una decina di giorni fa un nostro confratello in viaggio da Kisangani a Opienghe è stato aggredito e derubato dei soldi che portava: il salario degli insegnanti di quella zona. Aveva annunciato alla radio il viaggio e imprudentemente anche il carico “prezioso” che portava con se. Fortunatamente se l’è cavata con poco danno fisico e con molta paura.
Con una certa impazienza aspettiamo che migliorino anche le strade della comunicazione.


Giugno 1
Kinga

Sono passati almeno sei mesi da quando ho conosciuto Maria, una giovane di Nitoni, villaggio chiamato anche Bovotubu Siangwe, a voi scegliere quale nome utilizzare. Non abbiamo scambiato molte parole, ma qualche sguardo. E’ arrivata puntuale per la messa, preceduta dalla confessione. Abita a circa due chilometri e mezzo dalla cappella. Si accomoda sulle panche basse, credo sia la poliomielite a non permettergli di utilizzare gli arti inferiori, oramai da molto tempo. Quando deve spostarsi si appoggia sui pugni o sulle palme delle mani, trascinando piedi e gambe che, sorde, non intendono rispondere ai comandi. Non saprei dargli l’età, un viso sorridente, una grande dignità. Tra me penso a quali devono essere le difficoltà supplementari alle difficoltà di tutti: niente strade, niente mezzi di trasporto, niente acqua corrente in casa, niente doccia, niente gas per la cucina… Nello stesso tempo devo tentare di immaginare a quanta solidarietà gli sta intorno, una solidarietà di tutti i giorni, che gli ha permesso di arrivare qui oggi sorridente, ad accogliere l’Eucaristia. Nella lingua kiswahili non c’è una parola per tradurre solidarietà, si deve usare Umoja-Unità oppure Ushirika-Comunione, possono bastare. Come potrebbe arrivare qui una carrozzina per facilitargli gli spostamenti, un po’ più di movimento? Non sarebbe certamente utile una quelle carrozzine che utilizziamo normalmente nelle nostre case in Europa, su queste strade non avrebbero fortuna. Ma una simile a quelle viste a Kisangani o a Isiro, una di quelle carrozzine d’epoca, come si possono vedere ancora nei corridoi del Cottolengo, Opera della Provvidenza di Padova, dove le mani azionano un pedale. Ma chi può fabbricarle? Un nostro confratello a Kisangani, lui pure paralizzato, ha aperto un centro ed una serie di laboratori. Ma sarà possibile trasportarla fino a qui?
Tutto questo sei mesi fa, appunto. Quello che ho potuto fare si è limitato a sensibilizzare il piccolo gruppo CARITAS, dicendo che “qualcosa si dovrebbe fare”. Tautologia. Il cane si mangia la coda.Ma portare nel cuore le persone, non lasciare cadere il proposito permette alla Provvidenza di aprire strade. Un vecchio (anziano) missionario italiano di ritorno a Wamba dopo la necessaria manutenzione in Italia dei numerosi by pass, mi fa conoscere la sua attività e i numerosi kinga (biciclette) a tre ruote che ha fatto produrre da un piccolo laboratorio di Isiro, finanziati da qualche benefattore. Ed ecco che due kinga a tre ruote sono già pronti. Il camion che quindici giorni fa ci ha portato i sacchi di cemento, i fusti di carburante, le lamiere per il tetto, aveva anche i due kinga nuovi fiammanti. Ora non ci resta che consegnarli a domicilio, con la richiesta di un piccolissimo contributo che avrà lo scopo di aprire una “cassa di solidarietà” per le persone in difficoltà. Con Maria ci siamo intesi già. La famiglia è d’accordo nell’aiutarla ad utilizzare il nuovo mezzo e di averne cura. La comunità di Bovotubu Siangwe è stata concorde nell’accettare una migliore manutenzione del sentiero che dalla sua casa porta al centro del villaggio. Il secondo kinga non rimarrà parcheggiato, ha anche lui un destinatario qui in Babone. Voglio dire un grazie ai sentieri diritti della Provvidenza.