domenica, gennaio 06, 2008

chef...


I Pigmei di Badedeka
E’ il 2 dicembre e scrivo in una afosa serata pensando alla giornata di Badedeka, mercoledì scorso. A Badedeka da più tempo, rispetto a qualsiasi altro accampamento, sono “usciti” dalla foresta i pigmei, per installarsi a fianco del villaggio dei nyeusi ossia dei neri, nome con il quale i pigmei chiamano i bantù, popolazione locale che arrivò in questi territori solo in tempi recenti rispetto agli abitanti primitivi, i pigmei appunto. I pigmei rispetto ai neri bantu sono effettivamente un po’ più chiari di carnagione, e piccoli! Per quale motivo i pigmei escano dalla foresta non è facile a dire, si possono mettere insieme un po’ di cose. Nella stagione delle piogge quando la caccia è difficile e i frutti sono scarsi è la necessità di procurarsi da mangiare, rubando qualcosa nei campi dei bantu che praticano l’agricoltura. Il loro furto non è mai in grande scala, prendono il necessario per la sopravvivenza del giorno. Oppure escono dalla foresta in cerca di cure laddove la loro medicina tradizionale non riesce ad arrivare; molte volte sono ferite alle gambe procurate da spine o per qualche parto difficile. Ancora un motivo è la grande curiosità di vedere e conoscere, i mercati soprattutto. Ultimamente un’azione di promozione del popolo pigmeo li spinge a riunirsi in accampamenti dove imparano a costruire delle case più decenti delle loro tende fatte di piccoli rami intrecciati e di foglie; imparano un po’ di norme igieniche, a costruire un gabinetto a praticare la coltivazione dei campi e ad inviare i figli ad una scuola pensata apposta per loro, per poterli introdurre in seguito alla scuola elementare statale. E’ un popolo semplice ed ingenuo, sincero ed immediato. Della foresta conoscono i segreti ma nella vita sociale dei bantu si sentono “fuori casa” e nutrono un senso di inferiorità che fa sì che siano spesso sfruttati. Per contro i bantu li hanno per lungo tempo considerati inferiori a loro, mezzi uomini, non solo in statura ma in dignità La mancanza di vestiti, la difficoltà della lingua, la non conoscenza del valore del denaro sono altri elementi che li contraddistinguono. Lavorano a giornata nei campi dei bantu in cambio di un po’ di cibo, qualche bicchiere di vino di palma o di un po’ di banghi (canapa indiana). In gruppi organizzati partecipano al lutto o alla festa delle famiglie, dove sono chiamati per animare o rallegrare con le loro musiche e danze i convenuti.
Qualche decina d’anni fa i pigmei di Badedeka che decidevano di uscire dalla foresta ed abitare a fianco ai bantu, venivano organizzati in un modo che ogni famiglia fosse affidata ad un bantu che ne diveniva il responsabile, ma si potrebbe anche dire il padrone. Erano così aiutati a costruire una loro piccola casetta, lavoravano i campi insieme al loro capo bantu, con lui e per lui facevano la caccia e ne godevano la protezione. Quest’ultimo doveva rispondere per loro di fronte alla società civile rispetto ad eventuali mancanze o disordini provocati da pigmei. Allora come oggi, se ad un certo punto i pigmei si sentono minacciati, o la stagione secca della caccia diventa un richiamo troppo forte, lasciano il tutto e rientrano nella foresta, loro “madre” sempre accogliente.
In questi ultimi anni il capo della chefferia bantu ha nominato un pigmeo chef della chefferia dei pigmei, ma la malattia d’essere capo ha infettato in fretta il semplice pigmeo. E’ appunto oggi che tutti insieme discutiamo sotto un albero di alcuni atti arbitrari che lo chef pigmeo ha commesso, con l’aiuto della sua polizia, nei confronti dei suoi pigmei accusando per contro un “animatore” bantu, ossia una persona che incoraggia i pigmei a costruire delle case, a costruire dei WC (vi manderò in seguito delle foto) ad iniziare la coltivazione dei campi, a farsi curare al dispensario. Parliamo per ore, un po’ in kiswahili e molto in kilika (loro, non io, ma mi sono fatto accompagnare da Celestin della commissione giustizia e pace di Babonde). Alla fine tutto è chiarito, l’animatore bantu non ha colpe; lo chef pigmeo riconosce di avere abusato ed esagerato, ma domanda che lo si aiuti a costruire una casa per lui e per gli ospiti. Ci dividiamo un po’ di gbombolia, il nome locale della amara noce di cola, segno di accoglienza e di amicizia.