venerdì, gennaio 18, 2008

MUNDIAL


E’ giorno di “Mundial” questa domenica dell’Epifania, è il giorno di mercato a Babonde, la domenica ogni quindici giorni: enfaticamente chiamato appunto “Mundial”. Quindi c’è molto più movimento dei numerosi che vengono dai villaggi vicini, anche alla missione c’è il via vai di persone che salutano si fermano, chiedono… Puntualmente anche Maria, ragazza di circa 25 anni, tre figli a carico, disturbata psichicamente dall’epilessia, numerose cicatrici qua e là, segni di bruciature sul collo di quella volta che è caduta sopra le braci del fuoco è lì è rimasta fino al passaggio della crisi . Normalmente chiede un piccolo aiuto economico, di volta in volta, per acquistare del sale, del riso, del pesce salato per lei ed i suoi bambini, una pentola, una bottiglia di olio in questo periodo quando i prezzi sono più che raddoppiati, vista la carenza nella stagione secca. Qualche volta “rompe” ma è simpatica, oggi viene con un piccolo uovo di gallina in dono, altre volte, quando è stagione, con la gbombolia, la noce di cola. Da un po’ di mesi il mio confratello, molto più ferrato di me in medicina, la aiuta con il Fenobarbital, una compressa al giorno… le cose vanno decisamente meglio, ed anche quello che dice è più articolato e comprensibile: lei parla di preferenza il kilika, io l’italiano ed il francese (oltre al veneto), tentiamo così di comprenderci in kiswahili. Dice che è stanca di essere trattata come un animale o di vivere come un animale o di dormire dove vivono gli animali (non ho potuto ben distinguere). Lei è sola con i sui bambini al villaggio – ossia la famiglia allargata – e nessuno si cura di lei. Quindi, con molta semplicità propone di venire a vivere qui nella nostra casa (la popolazione lo chiama “couvent”, convento), assicura che non ruberà nulla e si comporterà bene. Scambiamo qualche parola, le do il piccolo aiuto, constatiamo insieme che è molto cambiata in meglio e che se continua così potrà ricevere il rispetto da quelli della sua famiglia e le cose sicuramente potranno migliorare. Da pochi giorni ero rientrato da Isiro dove avevo scaricato le mail, così nel pomeriggio mi metto a leggerne qualcuna. Tra queste gli auguri di un amico prete, missionario che interpreta il suo Natale e la venuta del figlio di Maria, con le parole di Gesù a Lazzaro: “oggi devo fermarmi a casa tua”. Maria disturbata psichicamente, il questo giorno dell’epifania è la manifestazione del Signore a me. Non credo sarà la cosa giusta tentare di vedere se effettivamente potrà vivere qui, ma la sua domanda resta e chiede una risposta. Occorrerà scendere dall’albero.

domenica, gennaio 06, 2008

chef...


I Pigmei di Badedeka
E’ il 2 dicembre e scrivo in una afosa serata pensando alla giornata di Badedeka, mercoledì scorso. A Badedeka da più tempo, rispetto a qualsiasi altro accampamento, sono “usciti” dalla foresta i pigmei, per installarsi a fianco del villaggio dei nyeusi ossia dei neri, nome con il quale i pigmei chiamano i bantù, popolazione locale che arrivò in questi territori solo in tempi recenti rispetto agli abitanti primitivi, i pigmei appunto. I pigmei rispetto ai neri bantu sono effettivamente un po’ più chiari di carnagione, e piccoli! Per quale motivo i pigmei escano dalla foresta non è facile a dire, si possono mettere insieme un po’ di cose. Nella stagione delle piogge quando la caccia è difficile e i frutti sono scarsi è la necessità di procurarsi da mangiare, rubando qualcosa nei campi dei bantu che praticano l’agricoltura. Il loro furto non è mai in grande scala, prendono il necessario per la sopravvivenza del giorno. Oppure escono dalla foresta in cerca di cure laddove la loro medicina tradizionale non riesce ad arrivare; molte volte sono ferite alle gambe procurate da spine o per qualche parto difficile. Ancora un motivo è la grande curiosità di vedere e conoscere, i mercati soprattutto. Ultimamente un’azione di promozione del popolo pigmeo li spinge a riunirsi in accampamenti dove imparano a costruire delle case più decenti delle loro tende fatte di piccoli rami intrecciati e di foglie; imparano un po’ di norme igieniche, a costruire un gabinetto a praticare la coltivazione dei campi e ad inviare i figli ad una scuola pensata apposta per loro, per poterli introdurre in seguito alla scuola elementare statale. E’ un popolo semplice ed ingenuo, sincero ed immediato. Della foresta conoscono i segreti ma nella vita sociale dei bantu si sentono “fuori casa” e nutrono un senso di inferiorità che fa sì che siano spesso sfruttati. Per contro i bantu li hanno per lungo tempo considerati inferiori a loro, mezzi uomini, non solo in statura ma in dignità La mancanza di vestiti, la difficoltà della lingua, la non conoscenza del valore del denaro sono altri elementi che li contraddistinguono. Lavorano a giornata nei campi dei bantu in cambio di un po’ di cibo, qualche bicchiere di vino di palma o di un po’ di banghi (canapa indiana). In gruppi organizzati partecipano al lutto o alla festa delle famiglie, dove sono chiamati per animare o rallegrare con le loro musiche e danze i convenuti.
Qualche decina d’anni fa i pigmei di Badedeka che decidevano di uscire dalla foresta ed abitare a fianco ai bantu, venivano organizzati in un modo che ogni famiglia fosse affidata ad un bantu che ne diveniva il responsabile, ma si potrebbe anche dire il padrone. Erano così aiutati a costruire una loro piccola casetta, lavoravano i campi insieme al loro capo bantu, con lui e per lui facevano la caccia e ne godevano la protezione. Quest’ultimo doveva rispondere per loro di fronte alla società civile rispetto ad eventuali mancanze o disordini provocati da pigmei. Allora come oggi, se ad un certo punto i pigmei si sentono minacciati, o la stagione secca della caccia diventa un richiamo troppo forte, lasciano il tutto e rientrano nella foresta, loro “madre” sempre accogliente.
In questi ultimi anni il capo della chefferia bantu ha nominato un pigmeo chef della chefferia dei pigmei, ma la malattia d’essere capo ha infettato in fretta il semplice pigmeo. E’ appunto oggi che tutti insieme discutiamo sotto un albero di alcuni atti arbitrari che lo chef pigmeo ha commesso, con l’aiuto della sua polizia, nei confronti dei suoi pigmei accusando per contro un “animatore” bantu, ossia una persona che incoraggia i pigmei a costruire delle case, a costruire dei WC (vi manderò in seguito delle foto) ad iniziare la coltivazione dei campi, a farsi curare al dispensario. Parliamo per ore, un po’ in kiswahili e molto in kilika (loro, non io, ma mi sono fatto accompagnare da Celestin della commissione giustizia e pace di Babonde). Alla fine tutto è chiarito, l’animatore bantu non ha colpe; lo chef pigmeo riconosce di avere abusato ed esagerato, ma domanda che lo si aiuti a costruire una casa per lui e per gli ospiti. Ci dividiamo un po’ di gbombolia, il nome locale della amara noce di cola, segno di accoglienza e di amicizia.

Pronti per la festa


Natale 2007

5,30 del mattino, è domenica dell’Epifania, sono ad Isiro. La messa dovrebbe essere alle 6.00 poco lontano da qui, assieme ad un padre della Consolata, dove sono ospite ogni volta che vengo in città. Al contrario ci siamo accordati con due coppie di spagnoli per celebrare in francese. Sono missionari laici che rimangono in Africa per un progetto di tre anni. Uno di essi è un ragazzo molto capace con internet, così prendo accordi con lui per tentare di progettare una connessione a Babonde. Ad Isiro la lingua della liturgia è lingala, io oramai conosco un po’ di kiswahili e sarei un semplice ascoltatore. Loro soffrono ancora del “non capire niente” e li comprendo benissimo, celebreremo un po’ più tardi e ne approfitto per un saluto a tutti giusto nel giorno che conclude le feste di Natale, appunto l’Epifania… si potrebbe anche dire “manifestazione del Signore”, manifestazione non di tipo sindacale, sportivo, politico o folcloristico. Se penso al Natale di Babonde, confrontato con quello di casa nostra, devo dire che di “manifestazioni” ce ne sono poche. Fuori della chiesa l’unico segno visibile sono i presepi preparati dai ragazzi: piccole casette di rami di “rafia” ornati con qualcosa che può assomigliare al nostro muschio. Nella più parte dei casi le statue mancano completamente o sono costruite qualche giorno avanti con dell’argilla. Il commento di Fini (diminutivo di Josephine), una delle ragazze spagnole è stato il classico: “non sembrava neanche Natale”.
Da parte mia il Natale ho cominciato a celebrarlo la vigilia a Bamoka, all’aperto sotto una tettoia di rami di palma in occasione del quarantesimo giorno dopo il matanga; ossia il giorno della festa dopo il lutto. Nel pomeriggio invece a Badedeka, confessando lungamente attendendo il buio. La mezzanotte è stata anticipata alle 19.00 e qualche lampada a petrolio illuminava la chiesa in legno fango e paglia… una capanna un po’ “maggiorata”. Cinque i canti di ingresso. Nella predica quando si arriva a dire che Gesù è nato poveramente, è inevitabile sentire qualche borbotto e commento sommesso di approvazione. Ci si identifica con quest’uomo Gesù e con la giovane madre Maria, superando le barriere degli anni, della cultura, dell’etnia… se da parte sua Dio si fa uomo, l’uomo si identifica nella storia di questo nuovo nato, e patisce insieme, gioia e affanno. La notte l’ho passata a Badedeka senza danno. Facendo il viaggio qualcuno mi sconsigliava di farlo perché si raccontano storie di sorciers (uomini o donne che fanno malefici straordinari) secondo le quali un altro prete che vi aveva dormito anni fa era stato trasportato fuori della sua casa durante il sonno… La mattina di Natale, questa volta a Bavamabutu in molti mi hanno chiesto come avevo passato la notte. Le messe tre, ma la mia predica unica, non posso permettermi il lusso di improvvisare, non per il rischio di dire stupidaggini, ma per la lingua che non possiedo ancora così da poter parlare liberamente, quindi con tanta fatica scrivo… quando l’unica predica scritta prima di venire in Africa è stata quella della mia prima Messa.
Tra le altre cose mi soffermo un po’ sulla figura di Maria, la fecondità della sua verginità è stata colmata dalla azione di Dio. In questo contesto, come al tempo di Maria d’altronde, una donna senza figli non ha valore, è albero senza frutti. Possiamo credere che Dio ha la forza di portare frutti in ognuno che si affida e si rende disponibile a lui?Buon Natale a Tutti, buon Anno, a risentirci. p. Renzo