sabato, marzo 11, 2006

Tolekisti (vuoti di passeggero)


Eccomi di nuovo, tornato ieri da Basoko, storica missione all’incrocio del fiume Congo con l’Arwimi.
Delle cose vissute laggiù, voglio ricordare la cordialità della nostra comunità e di quella delle suore francesi dell’immacolata Concezione (della Bretagna per la precisione). Voglio ancora ricordare l’appiccicamento di un paio di persone tra le altre per la richiesta di aiuti, per continuare gli studi o semplicemente per qualche piccolo regalo… è davvero sistema quello di chiedere al “padre missionario”… per il momento sono stato gentile ma inflessibile, arrabbiato contro l’insistenza. E’ certo che il Vangelo invita a chiedere e a farlo cono insistenza… ma veramente mi sembra una corsa dei più scaltri, invece che dei più bisognosi, al tesoro individuato (non ancora il tesoro vero).
Voglio ricordare la messa alla cappella di Yabangia a 25 Km, con p. Jean, in moto, l’inaugurazione della nuova chiesa in poto poto (fango), l’ospitalità del catechista, l’impressione che suscita il piccolo schermo della macchina fotografica digitale.
Di ritorno a maison Sacrè Coeur abbiamo finalmente avuto i particolari dell’aggressione della settimana scorsa.
L’autista del camion dello scolasticato ha avuto un drammatico incidente prendendo sotto un tolekista (taxista in bicicletta) e il suo passeggero che purtroppo è morto, ad un centinaio di metri dalla casa Maison Sacrè Coeur. Le suore francescane di passaggio portano il tolekista all’ospedale, l’autista si rifugia presso la nostra casa. Come ben si sa occorre mettersi in salvo per sfuggire un quasi sicuro linciaggio sul posto.
Nessuna colpa dell’autista circa la dinamica dell’incidente, i due in bicicletta gli si sono infilati sotto le ruote a causa di un urto avuto con un’altra bicicletta e di una manovra maldestra di un motociclista, concause il dissesto delle strade e l’approssimazione del rispetto di un minimo di codice stradale che sono il condimento quotidiano di che viaggia. Ma per chi ha un incidente non c’è ragione. Il morto è uno studente universitario, l’università è vicina. Agitatori fuori corso la frequentano da anni… monta una piccola folla di studenti che entra nel cortile della comunità alla ricerca del fuggitivo ben nascosto (tutti i mezzi delle nostre comunità portano l’adesivo ‘Prêtre du Sacrè Coeur’. La polizia chiamata accorre, ma è bloccata all’altezza del camion da altra folla che ne impedisce il passaggio e, come spesso accade, arriverà solo quando tutto sarà oramai concluso.
Con i giovani non c’è verso di ragionare ma solo di barricarsi in casa per non giocarsi la vita, mentre inizia un lancio di sassi e di grosse pietre che sfondano vetri e porte e fracassano il parabrezza di un’auto parcheggiata, alcuni studenti provenienti da Basoko e amici dei padri tentano di calmare gli esagitati ma non c’è verso fino a che qualcuno scopre una porta aperta e grida “è fuggito di qua, oramai ci è scappato”… Non aggiungo particolari, se non che al camion è stato dato fuoco, ma faccio qualche considerazione.
C’è un modo di reagire ai fatti, soprattutto negli incidenti stradali, ma similmente ogni volta che ci si trova di fronte alla morte di una persona giovane, che è totalmente istintiva da una parte, e dall’altra è “forzata” a cercare ad ogni costo un colpevole. Nessuna morte accade naturalmente, c’è sempre una causa, c’è sempre un colpevole. Strano a dirsi in questo paese dove per contro c’è molta rassegnazione a fronte delle mille disgrazie da sopportare. Un colpevole va trovato e punito, forse che anche qui la sofferenza estrema quella della morte rimane un mistero difficile da affrontare e richiede qualche scorciatoia di risposta… noi in occidente scegliamo spesso l’altra scorciatoia, quella di dare la colpa a Dio o di negare l’evidenza cullando il sogno di una tecnologia medica che dia sollievo a tutto e a tutti.
Nella illogica reazione della piccola folla di giovani si legge anche la disperazione di una nazione che da decenni non riesce ad intravedere via di uscita ai mali e alle schiavitù che la rendono perennemente “minore” nell’insieme dei popoli, perseguitata dai debiti e dallo sfruttamento neocolonialista, svenata dalla corruzione dei propri governanti, vessata da tutte le istituzioni, polizia compresa, che invece di difendere il diritto e la giustizia vedono nel “piccolo” una ghiotta preda da mungere per uscire dal comune sfacelo. Violenza subita, mai digerita, genera altra cieca violenza.
C’è infine una politica, una sporca politica che nel piccolo di una città di foresta tropicale riproduce i passi dei grandi, ossia, nella confusione, del ‘tanto peggio tanto meglio’, qualcuno guadagna, ed immancabilmente quest’ultimo è colui che è già ben piazzato e può far valere il peso della forza che già ha acquisita.
Prontezza nel perdono, ricerca del diritto e della giustizia, libertà della coscienza, capacità di testimonianza personale, giudizio lasciato a Dio, consapevolezza di una fatica da vivere…
mi sembrano tutte parole d’ordine per un lavoro di animazione, di educazione, di evangelizzazione qui in Congo, ma buone ovunque… non semplicemente un programma… la luce di Cristo dona un sapore speciale a tutto.